«Noi non ci arrendiamo». È la fine della conferenza stampa di ieri, e Mario Draghi suona la carica. Ma non ce n'è bisogno: dall'inizio del pomeriggio, gli indici di Borsa hanno continuato ad aggiornarsi al rialzo con la stessa velocità delle slot machine. Proprio le stesse Borse che, appena mercoledì scorso, vagavano come tanti walking dead market, autentici zombie del ribasso, si sono d'incanto ritrovate scattanti come neppure Usain Bolt. Potenza della Bce, potere salvifico di SuperMario, ora tornato a immagine e somiglianza degli investitori, al punto da trasformare le vendite a pioggia, come se non ci fosse un domani, in una sfrenata corsa agli acquisti. È bastata una sola frase del leader dell'Eurotower per rottamare l'umore da crac incombente, e veder volare Piazza Affari del 4,2%, rimettere sui binari del rialzo l'intera Europa, riportare il sereno anche a Wall Street e cancellare con un colpo di spugna gli incubi da Cina asfittica e da petrolio anemico: «È necessario rivedere la nostra posizione di politica monetaria nel nostro prossimo incontro, ai primi di marzo». Per i mercati, traduzione facile, facile: la banca centrale ha il colpo in canna, e lo sparerà molto presto sotto forma di una versione reloaded del piano di acquisto titoli. Draghi non ha dato cifre, nè fornito indicazioni temporali (attualmente il programma di stimolo è pari a 60 miliardi di euro al mese, con durata fino al marzo 2017), ma poco importa: di fatto, ieri è stato sdoganato quel Qe 2.0 che era rimasto lettera morta lo scorso dicembre (e il Mario col braccino corto non era affatto piaciuto), a quanto pare a causa del nein della solita Bundesbank. Adesso, però, il consiglio «è unanime», «non ci sono divisioni», e così si può procedere.Insomma: tutti stretti sotto la bandiera di Eurolandia, minacciata su più fronti. Il primo è la deflazione, dove la Bce sta rischiando di perdere la partita. Il prossimo allargamento del perimetro degli aiuti è infatti la risposta a un'inflazione che «resterà bassa o negativa ancora a lungo». Se è vero che il quantitative easing ha migliorato «le condizioni dei prestiti per imprese e famiglie», certo non ha ridato colore ai prezzi, complice anche la picchiata delle quotazioni del petrolio, destinate però secondo l'Eurotower ad avere effetti benefici sul potere d'acquisto di consumatori e aziende. Ma il momento è assai delicato anche per altri fattori. La Bce si trova a dover affrontare rischi maggiori rispetto allo scorso dicembre (da allora, ha ricordato l'ex governatore di Bankitalia, il greggio è sceso del 40%) derivanti «in particolare dall'aumentata incertezza sugli sviluppi dell'economia globale, dalla volatilità sui mercati e dai rischi geopolitici». Ci sono insomma le condizioni per muoversi rapidamente. Anche perchè «la credibilità della Bce sarebbe messa a dura prova se non fossimo pronti» ad agire. Perché non subito? Perché in marzo l'istituto centrale avrà a disposizione le proiezioni economiche fino al 2018. Dai dati dipenderà, verosimilmente, la portata degli interventi. In linea teorica, «non ci sono limiti», ha ribadito Draghi, che sostiene di non vedere finora «segnali di instabilità finanziaria come nel periodo precedente alla crisi» del 2008.Si va così palesando una sempre più netta divaricazione tra la politica monetaria dell'eurozona e quella statunitense.
Sempre che la Federal Reserve non operi una clamorosa retromarcia con un taglio dei tassi e il lancio di un quarto round di Qe. Staremo a vedere. Di sicuro, quanto successo ieri dimostra una volta di più la stretta (e pericolosa) dipendenza dei mercati dalle banche centrali. Un legame che rischia di impedire ogni forma di normalizzazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.