Il tempo stringe e il governo ha di fronte tre nodi difficili: riforme istituzionali, giustizia e manovra. Ma ieri è stata una giornata di euforia per i 5 stelle che portano a casa una data certa per il taglio dei parlamentari: il 7 ottobre via alla Camera al dibattito che porterà all'ultimo voto, forse già l'8 ottobre, per cancellare d'un colpo 345 parlamentari (230 in meno alla Camera e 115 al Senato). Per i grillini è una manna: così potranno portare a casa un provvedimento che rinfocoli la propaganda anti casta che ne ha gonfiato il consenso.
A pagare pegno è il Pd che ieri, in conferenza dei capigruppo, ha accettato di calendarizzare a breve il provvedimento su cui per tre volte aveva votato contro. Ancora ieri Di Maio aveva invocato «la lealtà del Pd» rispetto al patto giallorosso. E lo stesso Giuseppe Conte si era speso echeggiando le medesime parole. Non a caso Graziano Delrio ha detto: «Il Pd è stato di parola».
In realtà, l'accordo prevedeva che in cambio del voto sul taglio dei parlamentari il M5s appoggiasse il Pd nell'elaborazione di una nuova legge che si preannunciava sbilanciata verso un proporzionale puro, tanto che a settembre i dem avevano imposto un rinvio della scadenza per il taglio dei parlamentari. Possibile che ora il Pd si sia arreso senza condizioni? Per capire cosa abbia reso possibile l'accelerazione, bisogna tenere conto del fattore Renzi. La virata verso il proporzionale, che aveva fatto inalberare i vecchi leoni dem del maggioritario, da Walter Veltroni al professor Arturo Parisi, all'improvviso sembra perdere quota proprio al Nazareno. «La riduzione del numero dei parlamentari - ha specificato tre giorni fa Nicola Zingaretti - impone di arrivare a una riforma della legge elettorale. Io sono scettico su un proporzionale puro, ma le formule sono tante». Ora che Renzi è fuori dal partito, rispunta la prospettiva di formule che spingano all'aggregazione. Si ragiona su due possibilità: proporzionale con sbarramento alto o doppio turno. «Italia viva» non pare in allarme: «Sul taglio dei parlamentari voteremo con la maggioranza». L'accelerazione Pd sul taglio dei parlamentari scaturirebbe dunque da nuovi accordi con i 5s sulla legge elettorale. Sta di fatto che il via libera arriverà in cambio di semplici promesse, che il deputato e costituzionalista Pd Stefano Ceccanti elenca: legge elettorale, riforma dei regolamenti parlamentari e riforma degli equilibri costituzionali (con il taglio dei parlamentari sei regioni rischiano di non avere senatori). Il centrodestra intanto procede con la minaccia del referendum sulla legge elettorale, ma cerca l'intesa su un maggioritario temperato.
Gli altri dossier sul tavolo potrebbero rivelarsi più ostici. A partire dalla Nadef (l'aggiornamento del Def). Ieri un vertice a Palazzo Chigi durato tre ore ha partorito un rinvio a lunedì, tre giorni dopo il termine ultimo per la presentazione. Giallo sull'aumento selettivo delle aliquote agevolate Iva (10% e 4%) parzialmente compensate dagli sconti per l'uso dei pagamenti elettronici. Tutto smentito dalla Presidenza del Consiglio. Dubbi che confermano la difficoltà nel reperire una trentina di miliardi per una manovra che dovrà fermare le clausole di salvaguardia, tagliare il cuneo fiscale e prevedere agevolazioni per le famiglie.
Nel frattempo parte il confronto sulla giustizia: se non si fa nulla, a gennaio scatterà il taglio della
prescrizione con effetti drammatici sui processi. Nel Pd si cercano compromessi. I punti di divergenza sono quattro: riforma dell'elezione del Csm, prescrizione e durata dei processi, misure alternative al carcere e intercettazioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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