
da Roma
L'Italia conferma il suo sostegno alla risoluzione a favore dei due popoli-due Stati approvata dall'Onu lo scorso 12 settembre, ma non annuncerà il riconoscimento della Palestina quando la prossima settimana Giorgia Meloni parteciperà al segmento ad alto livello dell'assemblea generale delle Nazioni Unite insieme agli altri capi di Stato e di governo che siedono nel Palazzo di Vetro. Non a caso, stando all'agenda presente sul sito del governo italiano, la premier è attesa a New York per il 23 e 24 settembre (il suo intervento dovrebbe essere in programma nella serata di mercoledì). Mentre la conferenza Onu sui due Stati promossa da Francia e Arabia Saudita si terrà il 22. D'altra parte, pur votando a favore della risoluzione che chiede la creazione di uno Stato di Palestina libero da Hamas, Meloni non ha mai fatto mistero di temere che un riconoscimento vissuto da Israele come ostile alle sue ragioni possa essere persino controproducente per la causa palestinese. A differenza, invece, di quanto sostengono il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer.
Una posizione, quella italiana, che cerca di tenere insieme le enormi perplessità della premier nei confronti di un Benjamin Netanyahu che sembra ormai deciso a radere al suo Gaza più di quanto ha già fatto con il tentativo di tenere aperto un canale con Tel Aviv, anche in nome di un rapporto storicamente solido tra il centrodestra italiano e Israele. Un equilibrio complesso, sul quale pesa anche la posizione pro Netanyahu di Donald Trump. Oltre, ovviamente, al diverso posizionamento tra i tre partiti di maggioranza. Fratelli d'Italia e Forza Italia, infatti, sono - seppure con sfumature diverse - piuttosto critici verso il governo israeliano. E sia Meloni che il vicepremier Antonio Tajani tendono a non esasperare i toni anche in virtù dei loro ruoli istituzionali. Tutt'altro approccio, invece, ha la Lega. Tanto che ancora ieri il vicepremier Matteo Salvini rivendicava di essere "il miglior amico di Israele in Italia". "Difendere Israele - ha detto in un'intervista alla tv israeliana i24News - significa difendere la libertà e la democrazia, quindi Israele ha tutto il diritto di garantirsi un futuro sereno".
Decisamente di un altro tenore le parole di Tajani, che ieri è intervenuto in Senato durante il question time. "Condanniamo le frasi pronunciate dal ministro israeliano Smotrich, che - dice il ministro degli Esteri - ha definito la Striscia una miniera d'oro immobiliare. Quello che sta avvenendo a Gaza è una tragedia inaccettabile e questa carneficina deve finire subito". E ancora: "Le scelte del governo Netanyahu hanno da tempo oltrepassato i limiti della reazione proporzionata, violando i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario". Il titolare della Farnesina conferma poi che la prossima settimana l'Italia non seguirà Francia e Regno Unito nel riconoscimento dello Stato di Palestina. Siamo favorevoli alla "Dichiarazione di New York" dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, spiega, ma al momento "non c'è lo Stato palestinese" ma solo "da una parte Hamas e dall'altra l'Anp". Insomma, "come ha detto il direttore di Limes Lucio Caracciolo, riconoscere oggi lo Stato palestinese è un modo per lavarsi la coscienza e non risolve il problema". Invece, "è molto più utile creare corridoi umanitari e salvare la popolazione palestinese".
E in Senato si affronta anche la vicenda dei due container contenenti armi diretti ad Haifa e bloccati nel porto di Ravenna dal sindaco Alessandro Barattoni, sollecitato dalla segnalazione di alcuni lavoratori portuali. Una scelta applaudita dal centrosinistra e su cui Tajani si limita a dire che "non sono armi o munizioni italiane" e che non è una questione che rientra nelle disponibilità del governo perché "non serve autorizzazione per nulla che transiti dai porti".
Tel Aviv, intanto, conferma la sua allergia non solo alla presenza di giornalisti indipendenti a Gaza, ma a quella di semplici osservatori terzi.
Proprio ieri, infatti, l'ambasciata israeliana a Roma ha revocato i visti alla delegazione di Avs che ad aprile era stata in Cisgiordania per una serie di incontri con attivisti palestinesi e parlamentari israeliani. "La democrazia di Netanyahu - è la replica di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni - è questa: fermare chi critica la pulizia etnica in corso o uccidere i giornalisti per impedire che sia documentato l'orrore a Gaza".