Taser, l'autopsia "scagiona" la polizia. "Riccardo morto per trauma toracico"

I medici: "L'arma elettrica non ha avuto alcun ruolo"

Taser, l'autopsia "scagiona" la polizia. "Riccardo morto per trauma toracico"
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Non sarebbe stato il taser ad uccidere Riccardo Zappone ma un trauma toracico, subito - si ipotizza - durante la rissa avvenuta in strada a Pescara poco prima dell'intervento della polizia. È la Procura del capoluogo adriatico a rendere noto quanto emerso dall'autopsia sul corpo del trentenne morto il 3 giugno in questura dopo essere stato arrestato per una rissa e colpito dagli agenti con la pistola elettrica.

Il decesso, secondo il medico legale Cristian D'Ovidio, è sopraggiunto per «sommersione interna emorragica da trauma toracico chiuso». L'utilizzo del taser da parte del personale di polizia, sottolineano i magistrati, non ha avuto alcun ruolo nel determinare la morte di Zappone, un ragazzo vulnerabile, con un passato di tossicodipendenza, in cura in un centro di igiene mentale di Chieti (la vittima viveva a San Giovanni Teatino, ndr).

Gli accertamenti, però, non sono finiti, si concentrano su circostanze e responsabilità della morte. In attesa dell'esito degli esami tossicologici e istologici sui prelievi eseguiti, la Procura ha indagato per lesioni volontarie aggravate i tre uomini coinvolti nel pestaggio, di 61,55 e 37 anni, avvenuto all'interno di un'autofficina nel quartiere di San Donato. Il primo, Angelo De Luca, è un meccanico. Sarebbe stato lui, poi, a chiamare la polizia. Il 61enne nega, però, di aver colpito Zappone. «C'è stata una colluttazione tra me e quel ragazzo, mi dispiace come sono andate dopo le cose. Ma nonostante le parolacce e le minacce non l'ho preso a pugni. E meno male che non l'ho colpito», ha detto al quotidiano Il Centro. L'uomo, titolare dell'officina in cui c'è stata la colluttazione, parla di una caduta in cui Zappone avrebbe sbattuto la testa e sottolinea che il ragazzo «era fuori di sé, stava agitato, sbraitava, parlava forte, era come se avesse paura di qualcuno o di qualcosa, era sporco di sangue sotto le narici, si vedeva che non stava bene. Era super eccitato, ho capito che aveva preso qualcosa, che era drogato. Gli ho detto lasciami perdere, fammi lavorare», racconta ancora l'uomo. A quel punto il trentenne avrebbe buttato dieci euro in terra, continuando a urlare «io qua ammazzo tutti quanti». Con l'arrivo sul posto degli altri due indagati, il genero e il fratello di De Luca, la situazione sarebbe degenerata, tra lanci di scope, di carrelli e cazzotti. «Ha iniziato a tirare pugni, uno l'ho schivato l'altro mi ha preso e io a quel punto l'ho spinto. È caduto prima di sedere e poi è andato indietro con la testa. Forse un quarto d'ora dopo è arrivata la polizia, due pattuglie». Gli agenti faticano a calmare Zappone, era molto agitato, forse in preda ad una crisi. Oppone resistenza all'arresto. Così, per bloccarlo, gli agenti ricorrono alla pistola elettrica che hanno in dotazione dal 2022, quando l'arma è stata introdotta dopo una travagliata fase di sperimentazione. Portato in questura per l'identificazione e gli atti di rito, nella camera di sicurezza il ragazzo inizia a sentirsi male e viene chiamato il 118. In ospedale le manovre di rianimazione si rivelano inutili e il giovane muore. Inizialmente si pensa ad un infarto e viene disposta l'autopsia per verificare un'eventuale correlazione con l'uso del taser.

Invece a provocare la morte è stata un'emorragia interna, che non avrebbe nulla a che vedere con la scossa elettrica. L'inchiesta dovrà ora accertare se sono state le botte a provocarla. Si procede contro ignoti per omicidio colposo e morte come conseguenza di altro delitto, oltre che per droga.

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