N el 2014 il 51,5% delle imprese manifatturiere italiane ha pagato più tasse rispetto all'anno precedente, con un aumento medio di oltre 62.500 euro. È quanto emerge da un'analisi di InfoCamere pubblicata dal Sole 24 Ore e basata su oltre 234mila bilanci di altrettante società italiane per il triennio 2012-14.
L'abbassamento della pressione fiscale, tanto propagandato dal governo di Matteo Renzi, è solo un elemento della narrazione del premier: le agevolazioni di tipo minore introdotte negli ultimi anni non hanno portato nessun beneficio determinando un tax rate (incidenza della pressione fiscale sugli utili; ndr ) che si è attestato in media al 32,8 per cento. La percentuale non deve trarre in inganno i lettori: l'analisi si riferisce esclusivamente alla componente Ires e Irap in relazione all'utile ante imposte, escludendo dunque Imu, tributi minori e contributi previdenziali che fanno schizzare il totale riportato dalle classifiche Ocse e Confindustria oltre il 65 per cento.
I settori che nell'elaborazione InfoCamere risultano più penalizzati sono: sanità ( tax rate al 40,2%), costruzioni (39,1%), noleggio e viaggi (37,6%) ed energia (36,9%). Le aziende del settore energetico nel 2014 hanno pagato in media 115.800 euro di tasse in più rispetto all'anno precedente, circa il doppio dei 62.500 euro della manifattura. La media nazionale evidenzia che il 46,5% delle imprese del campione ha avuto un carico fiscale in aumento con un aggravio di 32.300 euro circa. Ma che cosa significa in concreto questa tendenza? Che i primi segnali di ripresa sono stati messi a dura prova dai tributi.
L'anno scorso, infatti, si è cominciata a notare una prima timida inversione di tendenza del ciclo economico. Pur in presenza di una contrazione del Pil, in alcuni casi gli utili societari sono tornati a crescere e questo ha determinato un maggior prelievo fiscale. L'esempio del manifatturiero visto sopra è emblematico: il settore che più di altri beneficia dell'andamento positivo dell'export s'è visto più colpito. Circostanza che, in condizioni normali, sarebbe anche giusta, ma che finisce col penalizzare la stessa possibilità dell'impresa di reinvestire nello sviluppo i maggiori profitti. Ecco perché, sottolinea Il Sole , sarà opportuno verificare come i bilanci 2015 reagiranno all'unica misura prevista per quest'anno: la decontribuzione per i neoassunti e la deduzione del costo del lavoro dall'Irap.
Il panorama a livello locale, poi, offre ulteriori elementi di riflessione. Il settore delle costruzioni vede tax rate molto prossimi al 40% nella maggior parte dei capoluoghi, con un incremento del 4,3% nel triennio 2012-2014. A Palermo spetta, invece, il record di tartassati nel manifatturiero con il 43,1 per cento. Non si tratta di una vera e propria questione meridionale perché anche a Torino, Firenze e Padova si sono registrati in molti casi aumenti della pressione fiscale sugli utili ante imposte. Tuttavia, il caso della Capitale e del capoluogo siciliano fanno riflettere sul maggior peso dell'Irap. Le maxi addizionali regionali laddove la sanità è praticamente in default si riflettono drammaticamente sulla competitività delle aziende che vedono ridotti i loro profitti per finanziare aziende sanitarie in perdita costante.
Nel programma di Renzi il taglio di Ires e Irap è
previsto per il 2017. Si vorrebbe anticipare qualcosa all'anno prossimo nell'ambito delle politiche di sviluppo per il Sud. È chiaro, però, che interventi in deficit o a invarianza di gettito non produrrebbe nessun effetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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