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Tensione con le toghe. A Palazzo Chigi c'è chi evoca l'avviso al Cav del '94

Il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, non è un fulmine a ciel sereno

Tensione con le toghe. E a Chigi c'è chi evoca l'avviso al Cav del '94

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Tensione con le toghe. E a Chigi c'è chi evoca l'avviso al Cav del '94

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Il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, non è un fulmine a ciel sereno. Al punto che lunedì scorso, parlottando con alcuni colleghi in Transatlantico, il diretto interessato già si era portato avanti: «Comunque vada mercoledì, non mi dimetterò». D'altra parte, subito dopo la decisione del gup di Roma, anche il ministro Luca Ciriani - intercettato davanti all'Aula della Camera - non ci gira troppo intorno: «Con l'imputazione coatta, non poteva che finire così...». Insomma, nessuna sorpresa. Come pure era già ampiamente preventivata la scelta di fare quadrato intorno al sottosegretario accusato di rivelazione di segreto d'ufficio sul caso Cospito. «Se conosco Giorgia, l'ipotesi che si dimetta non esiste», spiega un big di Fdi. Conferma Ciriani: «Non è certo una condanna, quindi le dimissioni non servono». Passa un'ora e Giovanbattista Fazzolari conferma la linea di Palazzo Chigi. «È inconsueto un rinvio a giudizio quando il pm chiede il non luogo a procedere, quindi non ci sono le condizioni per un passo indietro», dice il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Che aggiunge: «Sono certo che Delmastro riuscirà a dimostrare l'infondatezza dell'accusa». Anche se Giorgia Meloni sceglie di non intervenire sulla vicenda, è del tutto evidente che quella di Fazzolari è - alla lettera - la linea della premier. Insomma, sono lontani i tempi dei governi Letta (2013-14) e Renzi (2014-16), durante i quali Fdi chiese le dimissioni di diversi ministri proprio perché rinviati a giudizio.

La partita - o lo scontro, a seconda delle preferenze lessicali - si gioca però su due diversi piani. Il primo pubblico, con il j'accuse di qualche giorno fa del ministro della Difesa, Guido Crosetto, e con la vicenda giudiziaria di Delmastro. Il secondo piano, invece, è ancora sottotraccia. E si muove tra le ragioni - ancora non esplicitate - che hanno scatenato la sortita di Crosetto, passando per il pre-consiglio dei ministri di lunedì in cui il sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano, ha provato (senza successo, vista l'opposizione di via Arenula) a introdurre i test attitudinali per l'ingresso in magistratura. Due mosse inattese, guardate con attenzione anche dal Quirinale (oggi Sergio Mattarella presiederà, ma senza intervenire, la riunione del plenum Csm). E che, probabilmente, nascondono un braccio di ferro sotterraneo. C'è, infatti, chi tra i big di Fdi parla apertamente di inchieste in arrivo a carico di esponenti politici di rilievo, molto vicini alla premier. Non è un caso che tutti - diversi ministri e più di un dirigente di via della Scrofa - siano concordi nel dire che «le parole di Crosetto non erano riferite a Delmastro».

Insomma, c'è dell'altro. Questa, almeno è l'aria che si respira a Palazzo Chigi, dove si sottolinea come la scelta del gup di non assecondare la richiesta di non luogo a procedere della procura nei confronti di Delmastro sia il termometro di uno scontro interno alle diverse anime della magistratura. E non si nasconde il timore di essere ormai davanti a una nuova stagione di conflitto tra politica e toghe.

Lo dà a intendere piuttosto chiaramente Adolfo Urso. Mentre lascia Montecitorio, infatti, il ministro per le Imprese e il Made in Italy evoca senza troppi giri di parole «la fine del primo governo di centrodestra nel 1994», epilogo che «fu deciso da un avviso di garanzia al presidente del Consiglio di allora» che «sappiamo come è andato a finire». Insomma, dire che c'è il rischio di un'opposizione giudiziaria, come ha fatto Crosetto, è «scoprire l'acqua calda». Ma, aggiunge, questo governo «durerà», perché «quel che conta è il suffragio universale», cioè «il voto dei cittadini». Sulla stessa linea un altro ministro di Fdi, Nello Musumeci.

«Che all'interno della magistratura ci sia qualcuno che pensa di fare politica mi sembra fin troppo chiaro e - dice il titolare della Protezione civile - a neutralizzarlo dovrà pensarci la stessa magistratura».

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