Un violentissimo terremoto di magnitudo 7.3 Richter si è scatenato domenica sera, attorno alle 21:20 locali, al confine tra Irak e Iran. L'epicentro del sisma è stato localizzato a 32 chilometri a sud ovest della cittadina irachena di Halabja, a soli 15 chilometri dal confine iraniano. Al momento in cui il giornale va in stampa si contano almeno 413 morti e più di 6.700 feriti, molti in gravissime condizioni. La quasi totalità delle vittime sono iraniani, solo una decina al momento i morti iracheni. Secondo l'Organizzazione iraniana per la gestione dei disastri nazionali ci sarebbero ancora numerose persone sepolte sotto le macerie. Molte strade sono danneggiate e la rete elettrica è collassata rendendo i soccorsi ancora più difficili.
La località iraniana più colpita è la cittadina di Sarpol-e-Zahab, dove un intero complesso residenziale è crollato intrappolando sotto le macerie circa 200 persone. Anche l'ospedale risulta distrutto. Stessa situazione a Kermanshah, la principale città iraniana della zona, il cui ospedale è pesantemente danneggiato e non può fornire assistenza alle centinaia di feriti della zona, secondo quanto riferito dal responsabile dei servizi di emergenza iraniani. Danni pesantissimi si registrano i tutti i villaggi della zona, le cui case sono spesso costruite con mattoni di terracotta che non hanno retto l'urto del sisma.
Le autorità iraniana si sono immediatamente attivate, inviando squadre di soccorso e mobilitando l'esercito e i Guardiani della Rivoluzione. Il vicegovernatore della regione, Mojtaba Nikkerdar, ha annunciato che 3 campi profughi sono in corso di predisposizione per accogliere i migliaia di profughi rimasti senza casa o che non vogliono tornare nelle loro abitazioni a causa delle continue scosse. Il centro sismologico iraniano ha registrato circa 118 scosse di assestamento, avvertendo che ce ne saranno molte altre. Secondo la Mezzaluna rossa iraniana, oltre 70 mila persone hanno bisogno di rifugi d'emergenza.
In Irak la regione più colpita è quella della provincia di Sulaimaniyah, nel Kurdistan iracheno. Anche qui si registrano molti villaggi rasi al suolo e migliaia di sfollati. Il Kurdistan è al centro di una feroce contesa politica con Baghdad dopo il referendum sull'autonomia dell'area tenutosi il 25 settembre. E il premier della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Barzani, ha denunciato che Baghdad ha inviato esigui aiuti alle zone terremotate. L'Iran, invece, ha aperto le sue frontiere e ha iniziato a inviare cibo e medicine oltreconfine, ringraziato da Barzani stesso. Nella tragedia, paiono riavvicinarsi anche curdi iracheni e Turchia che ha inviato nell'area colpita tre mila tende, coperte, cibo, medicine e personale medico e della protezione civile turca: «Sono già 50 i convogli di aiuti che hanno superato il confine», ha fatto sapere il presidente turco Erdogan. L'Italia sta inviando un volo umanitario della Cooperazione italiana con un carico di 12 tonnellate di aiuti. E anche l'Unione europea, per tramite di Federica Mogherini, ha offerto aiuto alle autorità iraniane e irachene.
E mentre si continua a scavare, in Iran già montano le polemiche per la qualità degli edifici pubblici costruiti dal governo, come scuole, università e ospedali che hanno registrato pesantissimi danni, a differenza degli edifici privati che meglio hanno resistito alle scosse.
Il terremoto è stato avvertito anche nelle capitali Baghdad e Teheran, distanti rispettivamente 200 e 400 chilometri dall'epicentro e
nelle provincie orientali della Turchia. La zona montuosa tra i due Paesi mediorientali è particolarmente soggetta a terremoti, anche molti forti, trovandosi sul punto di scontro tra la placca eurasiatica e quella araba.
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