Politica

Tfr, Renzi tira dritto: "In busta paga dal 2015"

Jobs Act alla prova del parlamento. Renzi: "Il lavoro è la nostra emergenza". Ma la minoranza Pd prepara il blitz

Tfr, Renzi tira dritto: "In busta paga dal 2015"

"Il lavoro è la nostra emergenza". Matteo Renzi non molla. Nonostante la minoranza piddì minaccia ritorsioni in Aula e i sindacati si preparano a infiammare le pizze, il premier tira dritto per la sua strada. Se andrà a sbattere lo vedremo molto presto. I temi caldi restano le modifiche all'articolo 18 (annacquate dopo l'ultima direzione di partito) e il Tfr in busta paga. Perché gli slogan si trasformino in realtà, il premier ha bisogno nell'immediato che il Jobs Act passino dalle forche caudine di Palazzo Madama. È qui che la sinistra dem potrebbe tirargli un brutto scherzo. Per il Tfr, invece, ha ancora margine di manovra.

L'ipotesi che il governo ponga la fiducia sul testo della legge delega sulla riforma del Lavoro che martedì andrà in discussione in Aula al Senato sembra sempre più scontata. I margini temporali per avere un testo approvato per mercoledì, come annunciato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in tempo per il vertice europeo che si terrà a Milano, non sembrano concedere molto spazio ad alternative. "La prossima settimana sarà cruciale al Senato per portare a casa la riforma del lavoro - commenta l’europarlamentare Simona Bonafè - un passaggio importante che va sostenuto da tutto il Pd e dalla maggioranza". E sebbene il presidente dei senatori piddini Luigi Zanda assicura che a Palazzo Madama il gruppo voterà compatto, il problema è che il Pd è tutto fuorché compatto. Nemmeno tra i fedelissimi del premier sembra più sopravvivere quella fede cieca al renzismo che li contraddistingueva ai tempi della rottamazione. Persino Matteo Richetti, ospite a In 1/2, ha sollevato qualche dubbio: "Come si fa a condurre una battaglia epocale come quella del lavoro con il capogruppo che si astiene e il presidente della commissione che vota contro?". Sempre a Montecitorio siede un'altra voce fuori dal coro, Rosi Bindi. Che oggi, ai microfoni di Sky Tg24, ha annunciato che voterà come riterrà più opportuno fare.

A impensierire Renzi non è tanto la Camera. È, infatti, a Palazzo Madama che il governo non gode dei voti necessari a far dormire sonni tranquilli. Domani Poletti proverà a far recepire agli altri partiti di maggioranza le modifiche decise dalla direzione del Pd. Compito difficile visto che il relatore della delega Maurizio Sacconi (Ncd) ha già fatto sapere che eventuali modifiche al ddl uscito dalla Commissione "non possono essere una mera traduzione" imposta dal Pd. Il ministro è tuttavia disposto offrire in cambio una disciplina più favorevole per i contratti di secondo livello. Ma in questa partita devono entrare anche i sindacati a cui Poletti offrirà, in cambio del via libera al rafforzamento della contrattazione di secondo livello, una legge sulla rappresentanza sindacale. Resta, poi, da blandire la minoranza piddì a cui non piace l'impianto dell'odg votato in direzione che rivede, appunto, l'articolo18.

Martedì prossimo, con i sindacati e le parti sociali, Renzi verificherà pure la proposta di lasciare il Tfr in busta paga. "Sono soldi dei lavoratori - spiega nella Enews - come accade in tutto il mondo, non può essere lo Stato a decidere per lui. Ecco perchè mi piacerebbe che dal prossimo anno i soldi del Tfr andassero subito in busta paga. Questo si tradurrebbe in un raddoppio dell’operazione 80 euro". Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi si è già espresso contro. E, sebbene il viceministro all’Economia Enrico Morando abbia assicurato che l'intervento "non comporterà alcun aggravio Irpef per i lavoratori e sarà a costo zero per le imprese sotto i 50 dipendenti", i dubbi restano. Tanto che, quando martedì incontrerà le parti sociali, Renzi dovrà trovare il modo di spiegare come farà a non affossare la liquidità delle piccole medie imprese che si troveranno a pagare subito la mensilità in più. Industriali e sindacati a parte, la grana vera per Renzi è il suo stesso partito che, numeri alla mano, è in balia delle minoranza rossa e del drastico crollo degli iscritti. "Preferisco avere una tessera finta in meno e un’idea in più", dice. Resta il problema dei ribelli.

Al governo basterebbe una fiducia, l'ennesima, per annientarli.

Commenti