Toghe irriducibili: la Cassazione contro il modello Albania. Il Viminale: avanti

Doccia fredda dalla Suprema Corte che rinvia all'Ue la legge sui nuovi centri ma il governo non fa marcia indietro. La strana fuga di notizie al "Manifesto"

Toghe irriducibili: la Cassazione contro il modello Albania. Il Viminale: avanti
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Doccia fredda per il governo dalla Cassazione: il tema è sempre quello dei centri di detenzione in Albania, ormai terreno fisso di scontro tra l'esecutivo e la magistratura. Appena venti giorni fa proprio dalla Suprema Corte era arrivata una decisione che sdoganava il trasferimento nei centri di Gjader e di Shengjin dei migranti provenienti da paesi considerati sicuri, anche se in attesa di risposta sulla richiesta di permesso di soggiorno. Ieri da un'altra sezione della stessa Corte arriva una decisione di segno opposto: secondo il provvedimento (in realtà due provvedimenti identici, che riguardano due clandestini in posizioni analoghe) la legge del 2024 con cui il governo Meloni ha dato il via alla «operazione Albania» contrasta con ben cinque articoli della direttiva europea del 2008 sul rimpatrio dei clandestini. Per questo il provvedimento della Corte d'appello di Roma che autorizzava il trasferimento dei due migranti viene congelato, e l'intero fascicolo viene trasmesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea perché valuti «con procedura d'urgenza» la compatibilità del piano del governo Meloni con le direttive di Strasburgo e di Bruxelles.

Le due udienze si sono tenute l'altro ieri, e ieri la notizia era sulle pagine del Manifesto: sul tema il capogruppo di Fratelli d'Italia a Montecitorio, Galeazzo Bignami, ha preannunciato una interrogazione, «come ha fatto il Manifesto ad avere accesso a questi provvedimenti?». Ma più della fuga di notizie a colpire è il ribaltamento della linea espressa il 10 maggio dalla Prima sezione. Albania sì o Albania no?

Le motivazioni del provvedimento non sono ancora state depositate, ma già il dispositivo è sufficiente a capire quali appigli vengono individuati per sostenere l'illegittimità dei trasferimenti. Saranno motivazioni interessanti, perché tra gli articoli invocati ci sono l'articolo 6 che riconosce agli Stati il diritto di espellere gli irregolari, l'articolo 8 che autorizza l'uso della forza purché «proporzionata», il 10 che ammette le misure «coercitive». Saranno le motivazioni, affidate al giudice Carmine Russo, a dover spiegare in che modo l'utilizzo dei Cpr in Albania non rientri in queste condizioni. E a illustrare come una sezione della Cassazione abbia ritenuto di smentire quanto appena scritto da un'altra sezione.

Come si può immaginare, la decisione di ieri ha suscitato vivo disappunto all'interno del governo, sempre più convinto che da settori della magistratura arrivi una forma di ostruzionismo verso la sua politica in tema di immigrazione: ostruzionismo destinato peraltro secondo l'esecutivo a avere vita breve, visto che l'anno prossimo l'Unione varerà il nuovo regolamento che eliminerà i dubbi interpretativi, dando via libera al «piano Albania» e agli altri progetti analoghi in preparazione da altri Stati membri. Ma già ora, secondo il governo, la presa di posizione della Commissione Ue del 25 febbraio scorso, che riconosceva autonomia ai singoli paesi nello stilare l'elenco dei paesi dove è possibile rimpatriare senza troppi vincoli i profughi, lascia la via aperta all'utilizzo dei Cpr albanesi. In attesa del pronunciamento della Corte di giustizia, il Viminale va dunque avanti per la sua strada: anche perché le decisioni di ieri della Cassazione non possono essere applicate a tutti gli espulsi.

Per accogliere almeno uno dei ricorsi è stato decisivo che il clandestino provenisse dalla Tunisia, ovvero da uno degli Stati con i quali l'Italia non ha in vigore un accordo per le procedure semplificate di espulsione e rimpatrio: per gli altri migranti, questa chance non sembra aprirsi.

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