S i può essere felici se una persona viene arrestata? Sì, se la persona si chiama Cesare Battisti, è un essere spregevole e quarant'anni fa ha ammazzato o fatto ammazzare tuo padre come se fosse un agnello a Pasqua.
Il simbolo di questo sentimento è Alberto Torregiani. Che quel 16 febbraio 1979 in cui suo padre venne scannato dalla rabbia del commando dei Proletari armati per il comunismo composto da Giuseppe Memeo, Sebastiano Masala e Gabriele Grimaldi e armato da Cesare Battisti fu a sua volta colpito da un proiettile che lo rese paraplegico condannandolo alla sedia a rotelle su cui riposa la sua rabbia antica. Pierluigi Torregiani, il padre (adottivo) di Alberto, era un gioielliere della Bovisa, a Milano, che secondo i terroristi rossi aveva la colpa di aver ucciso nel corso di un tentativo di rapina qualche settimana prima un bandito ed era stato descritto dalla stampa dell'epoca come «giustiziere».
Alberto si dice «felice ma cauto» per la cattura di Battisti. Incontra il ministro dell'Interno Matteo Salvini, con cui ha voluto congratularsi («il governo italiano ha fatto il suo, che era dovuto. Ma è ovvio, non si può non ringraziarli») e prima ammette di avere ancora qualche dubbio: «Finché non lo vediamo atterrare non saremo sicuri che finirà in carcere. Se scappa stavolta è una comica, ma non credo che ora ci sia la volontà di nessuno che accada una cosa del genere. Tutti sono attenti a non fare figure da pagliacci». Non vuol e pensare all'ipotesi di andare a «prendere» la primula rossa in aeroporto: «Non posso dire come programmerò queste giornate, saranno intense. Non so dirlo e non ci voglio neanche tanto pensare, non per paura che non succeda, ma perché non è come programmare le vacanze, per noi è una grande notizia, ci rende felici, ma è anche molto pesante». E non ha nulla da dire a Battisti: «Più volte abbiamo avuto occasione di farlo e anche lui ha avuto occasione di esprimersi. Non credo ci sia nulla di più da dirsi». Quanto al perdono, «è un'altra cosa. Non si può perdonare qualcuno che non vuole essere perdonato. Noi siamo coerenti con i nostri pensieri, lui con i suoi. Il perdono si dà per qualcos'altro. È sicuro che nei suoi confronti non c'è odio, rancore o desiderio di vendetta. Noi abbiamo solo chiesto giustizia».
Altro orfano da terrorismo è Adriano Sabbadin, figlio di Lino Sabbadin, il macellaio milanese trucidato quello stesso 16 febbraio 1979, un paio d'ore dopo Torregiani. Anche lui, il commerciante, accusato dai Pac di avere ucciso un paio di mesi prima un rapinatore che stava assaltando il suo negozio. «Sono molto contento dell'arresto e speriamo che sia la volta buona che sconti la sua pena», dice Adriano, secondo cui «Battisti è una persona squallida che l'ha sempre fatta franca, e merita di scontare in Italia la pena giusta per quello che ha fatto».
E poi c'è Maurizio Campagna, fratello di Andrea Campagna, agente della Digos milanese, lo «sbirro» che i Pac decisero di eliminare perché aveva partecipato ai primi arresti legati all'omicidio Torregiani ed era stato visto in tv accanto ad alcuni terroristi in manette.
Ad ammazzarlo, il 19 aprile 1979, lo stesso Battisti, stavolta esecutore materiale: «Ovviamente - dice poche ore dopo la cattura di Battisti - noi parenti siamo contenti perché finalmente questo terrorista è stato arrestato. L'unica cosa è che tra l'arresto e l'estradizione ce ne vuole. Sappiamo tutti che la Bolivia non applica l'estradizione. La partita ora se la gioca il Brasile. Speriamo solo che non inizi la tiritera del 2004».
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