
Uno dei principali effetti collaterali delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Umbria (ma anche Liguria) è il crollo dei partiti e dei movimenti populisti, Movimento Cinque Stelle in primis.
Se è vero che i grillini non hanno mai brillato nelle competizioni locali, le percentuali che emergono dalle urne sono disarmanti e, continuando in questa direzione, condannano il movimento all'irrilevanza politica.
Sia in Emilia Romagna sia in Umbria, nonostante facesse parte della coalizione vincente, il M5s ha eletto un solo consigliere regionale fermandosi rispettivamente al 3,55% e al 4,71%, superato addirittura da Alleanza Verdi e sinistra in Emilia Romagna.
È probabile che l'adesione al campo largo non giovi al partito di Conte con il Pd che fa da catalizzatore ma dubitiamo una corsa in solitaria avrebbe giovato al M5S, specie in una competizione testa a testa come l'Umbria dove sarebbe prevalso il voto utile. In realtà il problema del Movimento Cinque Stelle è un altro e riguarda il tramonto della stagione politica populista che ci siamo ormai lasciati alle spalle. Complici le numerose piroette degli ultimi anni con vere e proprie inversioni a «U», l'apice del consenso ottenuto alle politiche del 2018 si è andato via via sgretolando soprattutto con la presa di coscienza dei cittadini dell'inconsistenza e dell'impreparazione delle forze populiste quando sono state chiamate a governare. Slogan e promesse si sono dimostrate irrealizzabili una volta giunti al potere alimentando ancor di più il sentimento di disillusione dei cittadini verso la politica e facendo crescere l'astensione.
Molti cittadini sembrano inoltre essersi stancati di una comunicazione strillata e con toni sopra le righe come dimostra il risultato di Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi che si è fermata al 2,16 racimolando 6.939 voti e non superando la soglia di sbarramento.
Il sindaco di Terni ha commentato la sconfitta affermando: «se la Meloni avesse candidato me, ora la Proietti starebbe a lavare i piatti».
L'effetto speculare è il crollo dell'ormai defunto terzo polo che, pur opponendosi alle derive populiste, ha finito paradossalmente per incarnare una delle principali caratteristiche del populismo: l'assenza di credibilità e stabilità politica. Così gli elettori, invece di votare per Azione o Italia Viva (o per le liste in cui sono confluiti gli esponenti delle forze centriste), hanno preferito il Partito Democratico che rappresenta una forza di governo.
Lo stesso vale a destra dove Fratelli d'Italia ha ottenuto un importante risultato certificando il ritorno al bipolarismo e a uno schema che si riproporrà in vista delle politiche.
Non bisogna infine fare l'errore di confondere la vittoria di Donald Trump con una rinnovata vitalità delle forze populiste sia perché il contesto americano è molto diverso da quello italiano sia perché definire Trump come un leader populista sarebbe riduttivo anche alla luce della sua proposta politica basata su temi identitari, tutto il contrario delle vaghe ricette dei populisti nostrani.