Guerra in Ucraina

Dentro la Transnistria, lo stato fantasma filo-russo che spaventa Odessa

La piccola repubblica, non riconosciuta, è ancorata al suo passato sovietico e al legame con Mosca. E ora, da Stato dimenticato, può diventare il nuovo fronte della guerra in Ucraina.

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"Venite, leggete che c'è scritto qui", ci dice Pavel. È uno dei pochi volti in Transnistria con cui riusciamo a parlare, senza dare troppo nell'occhio. Dall'inizio della guerra in Ucraina le mura già piuttosto fortificate della PMR (Pridnestrovskaya Moldovskaya Respublika) sono diventate invalicabili. Entrare nella regione separatista filorussa della Moldova da giornalisti occidentali non è possibile. Il "turismo", che negli anni pre-Covid aveva conosciuto una insolita primavera per uno Stato sconosciuto ai più, offre invece un salvacondotto. Ma vuol dire dover tenere a bada le reflex, parlare il meno possibile, indagare con tatto.

Pavel, però, riusciamo ad avvicinarlo. "Venite a leggere", ci ripete indicando una delle statue poste nello spazio antistante gli edifici dell'università di Tiraspol, la capitale. Sui pennoni sventolano due bandiere: quella transnistra e quella russa. La scritta nella targa della statua è in cirillico, ovviamente. "Che c'è scritto?", chiediamo. "Taras Hryhorovych Shevchenko", risponde fiero. Shevchenko è stato un poeta, scrittore e fine intellettuale... ucraino. Curioso, visto che poche decine di chilometri più in là gli eserciti di Russia e Ucraina stanno combattendo gli uni contro gli altri. E visto che in Occidente è già partita l'insensata gara alla rimozione di qualsiasi riferimento alla cultura russa. Qui invece di cancel culture proprio non ce n'è.

Quella che sorge al di là del fiume Dnestr è una Repubblica non riconosciuta a livello internazionale dal punto di vista normativo e spaziale. Ma pure temporale. Soprattutto temporale. Quando Anton, un sodale di Pavel, ci legge l'intestazione posta fuori dal teatro cittadino, ci tiene a precisare che la Transnistria, come entità statale, non è solo il frutto della guerra del 1992 contro la Moldavia. Già nel 1990, infatti, con la morte del dittatore rumeno Nicolae Ceausescu e l'ipotesi sempre più tangibile che Moldavia e Romania potessero tornare ad essere una cosa sola, la minoranza russofona che viveva in Transnistria decise di proclamare la Repubblica socialista sovietica moldava di Pridnestrovie. Un atto, tuttavia, mai riconosciuto dal Cremlino e da Michail Gorbachev, che fece piombare la Transnistria nel novero delle repubbliche non riconosciute dell'URSS: come Abcasia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh. Non è un caso che le loro bandiere sventolino tutte insieme nella mastodontica piazza centrale di Tiraspol intitolata al generale russo Alexander Suvorov. E non è un caso nemmeno che a distanza di 30 anni tutte queste repubbliche siano ancora dei teatri di scontro etnico, politico e militare (tra Russia e Georgia le prime due, tra Armenia e Azerbaigian la terza).

La Transnistria la sua indipendenza se l'è conquistata con le armi, nei 142 giorni di guerra del marzo-maggio '92 contro gli eserciti rumeno e moldavo. Insieme ai transnistri, oltre ai russi, combatterono anche gli ucraini, che ancora oggi rappresentano un quinto della popolazione totale (circa mezzo milione di persone). Ecco perché i due giovani transnistri, Anton e Pavel, dicono all'unisono che, per loro, per tutti loro, il 24 febbraio 2022 resterà una data inspiegabile nella storia. Quella cioè in cui russi e ucraini hanno iniziato ad uccidersi tra loro.

Gli abitanti della PMR, si diceva, vivono in un'altra dimensione temporale. Quella, cioè, del delirio marxista-leninista di epoca sovietica. I busti di Lenin sono dappertutto e la Transnistria è attualmente l'unico Paese al mondo che mantiene la simbologia sovietica all'interno del suo stemma ufficiale. I monumenti che commemorano i caduti dell'Armata Rossa, il più imponente è appena fuori Bender, l'unica città della sponda ovest del Dnestr controllata dalle autorità transinistre, sono dappertutto.

Quando ce lo mostra, Pavel ci racconta che quella dell'esercito russo che liberò questi territori dall'occupazione nazista è un'epopea ancora tramandata con gelosia nelle scuole e negli spazi culturali. Le persone sono fiere di vivere aggrappate ai precetti del passato che permisero all’URSS di mantenere un carattere interetnico e sovranazionale. "Provate a cercare monumenti simili nell'Ucraina occidentale, oggi. Non c'è più nulla del genere", puntualizza. Ecco che agli occhi degli abitanti tanto della Transnistria quanto della Gagauzia, una regione autonoma della Moldavia abitata da russofoni di etnia turcica che però ha ottenuto il suo status in modo pacifico, lo scontro in atto in Ucraina assume contorni storico-politici. È inaccettabile, per loro, il senso di rifiuto del retaggio sovietico messo in atto dai governi di Kiev dalla rivoluzione colorata del 2014 in poi.
"Qui tutti la pensano così, ecco perché gli ucraini che vivono in Transnistria non hanno nulla da temere, vivono con noi, come noi", dicono Pavel e Anton. Addirittura in 10mila fino ad ora hanno cercato rifugio proprio nella Repubblica fantasma.

Paradossale che da una guerra contro i russi si possa cercare riparo in una enclave filorussa con basi russe dappertutto e con almeno 15mila effettivi dell'esercito di Mosca pronti ad essere dispiegati nel caso in cui dovesse essere necessario attaccare (anche) da nord-ovest la città di Odessa. Eppure, per quanto possa sembrare assurdo, per un ucraino nostalgico del soviettismo che ha parenti o amici in Transnistria posto più sicuro per fuggire dalla guerra non c'è.

Per quanto le cronache abbiano attribuito agli arsenali transnistri già diverse operazioni militari russe, come il bombardamento con 8 missili cruise che il 6 marzo ha spazzato via l'aeroporto ucraino di Vinnytsia, fonti vicine al governo moldavo e lo stesso Ministero della Difesa hanno smentito che l'attacco fosse partito dalla Transnistria e in generale che dispositivi avanzati possano essere conservati nei depositi locali. Ciò che invece non manca di sicuro in quella che per anni è stata considerata la Santa Barbara dei Paesi balcanici dell'ex Patto di Varsavia, da dove i sovietici hanno rastrellato tutto il possibile, sono armi dell'epoca. A Cobasna, a nord di Tiraspol, c'è chi parla di 20mila tonnellate di armi nascoste qua e là. Nella vicina Rîbnița, le acciaierie che rappresentano una delle poche attività industriali fiorenti di un Paese tenuto in piedi dai soldi del Cremlino (e gli accordi di free-trade stipulati tra la Moldavia e l'Ue), i sussurri popolari raccontano di seminterrati interi adibiti a fabbriche clandestine di AK-47. Per anni, a cavallo del 2000, non a caso la Transnistria è stato considerato il paradiso europeo del traffico di armamenti (e di schiave sessuali).

Insomma, non ci saranno stoccate testate nucleari ma, se dovesse servire, l'unica cosa che la Transnistria può offrire in quantità oltre ai busti di Lenin sono i fucili d'assalto. Che non è nemmeno detto non possano tornare utili in futuro, contro obiettivi diversi rispetto alle città ucraine. Come per il Donbass, infatti, visti i sommovimenti globali lo status ambiguo della Transistria la rende una polveriera. Il 3 marzo, alla luce della crisi internazionale, la presidente moldava Maia Sandu ha presentato una richiesta ufficiale per l'adesione all'Unione europea. Al momento congelata, come quella della Georgia e della stessa Ucraina. Ma, tanto per chiarire il clima, pochissime ore dopo il ministro degli esteri Vitaly Ignatiev ha fatto appello alle Nazioni Unite affinché possano riconoscere l'indipendenza della PMR, per poi poter decidere autonomamente il proprio futuro che, nelle intenzioni, sarebbe entrare a far parte della Federazione russa.

È stato questo, infatti, l'esito del referendum del 2006 (non riconosciuto dalla comunità internazionale) con cui il 98% dei votanti ha espresso la volontà di mantenere l'indipendenza e la possibilità di una futura eventuale integrazione nell'universo di Mosca. E pure nel 2014, dopo l'annessione russa della Crimea, in Transnistria è tornato di moda lo stesso desiderio.

Al momento si tratta di scenari imprevedibili, ma come insegna il precedente delle Repubbliche separatiste di Dontesk e Lugansk, le adesioni agli organismi sovranazionali occidentali da parte di Paesi con criticità etno-territoriali potrebbero facilmente provocare nuove e inaspettate escalation.

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