Ironizza: «Avevo in mano tre indizi».
A Strasburgo hanno preso sul serio il ricorso del Cavaliere e ora chiedono spiegazioni all'Italia.
Se l'aspettava?
«Che ci fosse un fumus e anche qualcosa di più - afferma Carlo Nordio, uno dei più noti magistrati italiani, oggi in pensione dopo una lunga carriera come pubblico ministero a Venezia - lo avevo intuito da tre elementi».
Il primo?
«Non si era mai visto un presidente di Cassazione dare un'intervista subito dopo il verdetto, ma prima della pubblicazione delle motivazioni».
Una procedura anomala?
«Diciamo che Antonio Esposito aveva mostrato una sensibilità particolare. Ricordo anche che la Cassazione è un organo collegiale e in qualche modo un'intervista impegna tutti».
Il secondo punto?
«L'incredibile storia delle dichiarazioni di Amedeo Franco che di quel collegio era membro e relatore: anche questa circostanza è senza precedenti ma è ancora più inquietante della precedente. Un giudice sente il dovere di andare a incontrare un condannato e in sostanza chiedergli scusa. Infine c'è il terzo indizio, il più grave di tutti».
E qual è?
«È l'emersione del sistema descritto da Luca Palamara. Palamara spiega che la linea dell'Anm era quella di contrastare Salvini anche quando aveva ragione. Naturale porsi quindi una domanda semplice semplice: non è che ci sia stato un atteggiamento più ruvido anche con il Cavaliere?»
Qualcuno parla di golpe giudiziario
«Ma no, non esageriamo e non usiamo paroloni altisonanti. Non ci sono stati complotti o chissà che altro, basta meno, molto meno. Ci possono essere un procedimento o una sentenza orientati. E mi viene un sospetto sui tempi».
Come mai Strasburgo procede proprio adesso?
«Appunto. Tanto per cominciare, sappiamo che sono lentissimi, quasi peggio dell'Italia, e ci chiediamo se non sia l'Italia ad evolvere verso standard europei, ma l'Europa a sprofondare verso ritmi tricolori. Però, a parte questa velocità di crociera bassissima, io credo che il dossier Berlusconi sia saltato fuori da un cassetto adesso perché a Strasburgo sono rimasti scossi da questa successione di scandali senza paragoni in Occidente e abbiano deciso di capire come stanno le cose. La vicenda Palamara ha lasciato il segno e la Corte ha deciso di alzare il coperchio della pentola».
Palamara è stato radiato dalla magistratura. Un segno di fermezza?
«Al contrario: l'Anm e il Csm sono al centro di una crisi colossale e invece di andare a fondo hanno provato a chiuderla con l'espulsione a razzo di Palamara».
Risultato?
«Lo scandalo soffocato da una parte torna fuori dall'altra. E questa volta è pure peggio. Non ci sono più le nomine, ma le inchieste».
Da Palamara a Amara?
«Sì. È la vicenda improbabile della loggia Ungheria. Una storia sconcertante dove autorevoli magistrati con incarichi di primissimo piano si smentiscono l'un l'altro. E dove, per quel che sappiamo, si ha la sensazione che tutti o quasi abbiano fatto un passo falso».
Ma cosa avrebbe dovuto fare il pm di Milano Paolo Storari?
«Io avrei scritto le mie critiche al procuratore della Repubblica, poi se non mi avesse ascoltato gli avrei inviato le mie osservazioni pregandolo di inoltrarle al procuratore generale o all'ufficio di presidenza del Csm».
Ma se non ci si fida più del proprio interlocutore?
«La strada più corretta è questa. Si chiama principio di lealtà, certo non si può condividere il passaggio sottobanco ad un singolo consigliere di fogli e di incartamenti delicatissimi.
Troppe mosse qui paiono anomale e io penso che davanti alle notizie in arrivo dall'Italia, l'Europa abbia deciso di approfondire il fascicolo su Berlusconi. Credo anche che non abbiamo raggiunto il punto più basso: altro verrà fuori nelle prossime settimane».
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