Che sia stato un terremoto è evidente. I risultati delle elezioni in Gran Bretagna hanno completamente sovvertito i pronostici, regalando al leader conservatore David Cameron una vittoria che gli permetterà di governare altri cinque anni. Dietro al trionfo dei Tory, si è aperto un nuovo scenario politico, disegnato dal crollo dei laburisti e dal successo degli indipendentisti scozzesi che diventano, di fatto, la vera opposizione a Cameron. Ma quello su cui ora vogliamo soffermarci è il ruolo degli sconfitti, che dopo la lettura dei risultati hanno deciso di farsi da parte. Cosa inimmaginabile in Italia, dove siamo abituati a vedere gli esponenti politici «trombati» aggrapparsi con le unghie a qualsiasi carica, purché preveda una poltrona.
Di tutt'altra pasta sono sicuramente fatti i leader politici britannici che, di fronte all'insuccesso elettorale, cedono le redini ammettendo il loro fallimento. A partire dal liberaldemocratico Nick Clegg, che ha visto la sua formazione decimata dal voto. I liberaldemocratici, tradizionalmente il terzo partito del Regno, oggi sono ridotti ai minimi termini, raccogliendo meno di dieci seggi rispetto ai 55 delle ultime elezioni. Clegg ha deciso così di farsi da parte e, parlando di fronte allo stato maggiore del partito, ha difeso con passione i valori liberali. «Ha perso il liberalismo - ha affermato - che però è più prezioso che mai e per il quale dobbiamo a continuare a lottare. È un'ora molto buia per il nostro partito, ma non possiamo e non permetteremo che i valori liberali evaporino con questa notte», ha concluso lasciando la sala con le lacrime agli occhi.
Meno di duemila voti hanno spinto alle dimissioni pure Nigel Farage, leader del movimento anti europeista Ukip, da alcuni anni collegato a Beppe Grillo e ai 5 Stelle. La sconfitta nel suo stesso seggio è stata il colpo di grazia e Farage, come aveva promesso in campagna elettorale, ha lasciato la guida del partito. «Sono un uomo di parola - ha detto il leader dell'Ukip, che nonostante il 12 per cento dei consensi, ha conquistato un solo seggio a Westminster-. Una parte di me è delusa, l'altra è più felice di quanto non mi sia sentito da molti anni». Tuttavia, Farage non ha escluso un ritorno alla guida del partito, affermando che valuterà l'idea di presentare la propria candidatura quando si dovrà eleggere un nuovo segretario a settembre.
Ultimo, ma non per importanza, è il leader laburista Ed Miliband, il quale ha portato il suo partito a un tracollo mai registrato prima. D'altronde, il suo populismo di sinistra ha spaventato i moderati e non ha fatto neppure breccia tra il suo elettorato più fedele. La sua leadership è stata giudicata debole e prigioniera di vecchi schemi. A questo si è aggiunto il bagno di sangue in terra di Scozia, dove gli indipendentisti hanno annichilito i candidati del Labour.
E pensare che solo cinque anni fa era diventato il leader più giovane, oltre che promettente, nella storia del partito. Anche in quell'occasione, però, si consumò un piccolo dramma, cioè la faida familiare che contrappose Ed Miliband al fratello David nella corsa alla leadership laburista. Ed ne uscì vincitore ma il partito si divise, lasciando una scia di polemiche tra i due allungatasi fino due anni fa. Adesso, dopo il crollo elettorale, sono in molti a chiedere il ritorno di David.
Ed non ha fatto una piega e ha annunciato le dimissioni con un laconico messaggio: «Non è questo il discorso che avrei voluto pronunciare», ha detto nel suo intervento davanti ai militanti laburisti nella sede londinese del partito, assumendosi l'«assoluta e totale responsabilità del risultato e della sconfitta». «La Gran Bretagna - ha aggiunto - ha bisogno di un Partito laburista forte ed è tempo che qualcun altro ne assuma la leadership». Chapeau .- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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