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"Per tre mesi agli arresti ho guidato la Regione"

L'ex presidente dem della Basilicata poi assolto. "Toti decida in autonomia. Il Pd? È manettaro"

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«Non c'è dibattito da bar che possa decidere le dimissioni di Toti, è una valutazione che deve fare lui in autonomia, nell'interesse della Regione che guida. Se ci sono atti importanti da decidere, lui lascia e poi dimostra di essere innocente, a pagarne sarebbero solo i cittadini liguri». Marcello Pittella (ex Pd, ora Azione) parla per esperienza diretta, da presidente della Basilicata, nel luglio 2018, per la cosiddetta Sanitopoli lucana, fu arrestato ma continuò a guidare la regione per altri sette mesi, tre dei quali dai domiciliari. Prima di dimettersi, per poi essere assolto da ogni imputazione.

Ma come si fa il presidente dai domiciliari?

«Ero sospeso, ma in carica. Non potevo parlare con nessuno dei miei assessori o consiglieri di maggioranza. Leggevo, mi tenevo informato sull'attività della Regione, in attesa di tornare libero».

Non è meglio dimettersi subito?

«Ero convinto della mia innocenza, per quale motivo avrei dovuto dimettermi? Feci ricorso al Riesame e poi alla Cassazione e infatti venne riconosciuto dai giudici, con una sentenza molto severa, che non c'erano motivazioni valide per privarmi della libertà».

Passò al divieto di dimora, sempre da presidente in carica.

«Ripresi a sentire assessori e consiglieri, ma potevo andare ovunque nel mondo tranne che a Potenza, sede della Regione. Una follia».

Fino alle dimissioni.

«Date dopo che erano stati approvati gli atti più importanti dal consiglio. Lo feci per far cadere il divieto di dimora, una situazione indegna, una vita da carbonaro che non potevo più sostenere. Ma sempre certo della mia innocenza, che poi fu riconosciuta».

Una resistenza di sette mesi, nonostante le pressioni per farla lasciare.

«Moltissime, dai media soprattutto, ma non solo».

Anche dal suo partito di allora, il Pd.

«Il Pd scelse il silenzio, un silenzio assordante. Poi non vollero ricandidarmi e la Basilicata passò al centrodestra».

Anche lei, come Toti, fu arrestato sotto elezioni.

«Il gip lo scrisse nell'ordinanza, andavo arrestato perchè secondo loro avrei potuto influenzare la pubblica amministrazione che dipendeva dalla regione, pura fantasia».

Anche quella, come a Genova, un'inchiesta che durava da tempo.

«Da anni, perchè aspettare proprio le elezioni per l'arresto?».

Si è fatto la stessa domanda per Toti?

«Lo hanno indagato e intercettato per quattro anni, e lo arrestano proprio prima delle Europee? Cosa sarebbe cambiato se avessero aspettato un mese in più, visto che hanno aspettato tutti questi anni? È fisiologico che qualche dubbio viene».

Le ha lette le intercettazioni?

«Sono registrazioni durate quattro anni, non si può costruire un teorema su frammenti di discorsi in mezzo ad altre migliaia di parole. Servono prove, non pezzettini di telefonate».

Toti parlava in modo quantomeno disinvolto con Spinelli.

«Ma l'interesse di un presidente di regione è far andare avanti la sua regione e se deve accompagnare un certo imprenditore in progetti utili, fa bene a farlo. Io in Basilicata ho Eni, Shell, Total, Barilla. Cosa faccio, non parlo con i capi di queste aziende, non ci prendo un caffè per paura di sembrare corrotto? Al contrario, cerco di instaurare un rapporto confidenziale con loro, è quello che deve fare un presidente di Regione».

Il Pd chiede le dimissioni di Toti.

«Io appartengo

a una cultura riformista, socialista e garantista che è sparita nel Pd. È diventato un partito ghigliottinaro e manettaro, è sempre stato giustizialista ma con la Schlein è finito a fare a gara con Conte a chi si supera».

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