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Le tre ragioni di un insuccesso

Poi un giorno, quando avranno finito di sbranarsi furiosamente fra loro come predatori quando il cibo scarseggia, si renderanno conto del patrimonio di fiducia che stanno sperperando

Le tre ragioni di un insuccesso

Poi un giorno, quando avranno finito di sbranarsi furiosamente fra loro come predatori quando il cibo scarseggia, si renderanno conto del patrimonio di fiducia che stanno sperperando. Anche se l'impressione è che i leader del centrodestra - troppo impegnati a sfidarsi fra loro - per ora siano sordociechi davanti al disagio del loro elettorato.

Eppure non è difficile immedesimarsi nei moderati che (teoricamente) costituiscono la maggioranza del Paese. Così come non sarebbe secondario chiedersi il perché di una crisi di risultati che continua da troppo tempo, indipendentemente da astensione e computo dei Comuni vinti o persi. Che sia colpa di Sboarina o Tosi, che pesi più l'invidia di Salvini, l'animosità di Meloni o le crepe in Forza Italia, sono dettagli. Il centro vero della questione, che ci si ostina a ignorare, è un altro: perché il centrodestra non convince più i suoi elettori?

Basterebbe interpellarli, si capirebbero alcune cose. Per esempio che non sono più disposti a votare sindaci piovuti da Plutone per logiche insondabili di spartizione. La prestazione misera fornita alle Comunali di Milano, Roma e Napoli, con nomi partoriti dopo trattative arrovellatissime e incarognite, non doveva ripetersi. Puntualmente, invece, di nuovo si è finiti a usare i candidati come manganelli per regolare conti interni.

Da qui discende la seconda ragione del disamoramento: la fastidiosa percezione di conflittualità fra i tre partiti-guida. Il centrodestra, pur nella sua storica diversità interna, aveva sempre portato avanti un progetto organico di Paese. O meglio, un'idea di governo sufficientemente coerente se paragonata alle accozzaglie puramente elettorali degli avversari; dall'Ulivo al campo largo, alleanze raccogliticce in chiave anti-destra innervate da odi e veleni interni. Oggi sembra che lo stesso astio fratricida alberghi da questa parte. Tre anni di separazione - sulla carta soltanto tattica - hanno lasciato il segno. Prima la Lega unica a sostenere il governo Conte, poi Fratelli d'Italia unici a non sostenere il governo Draghi: la politica dei due forni che doveva convincere populisti e non, responsabili e non, draghiani e non, semplicemente non ha funzionato. E dai due forni è uscita una ciambella senza buco e pure bruciata.

Si arriva così alla terza ragione di delusione e smarrimento nell'elettorato: l'appannamento del senso di appartenenza. Se per mesi, fino alla mattina stessa del voto, si assiste a un continuo rinfacciarsi colpe ed errori tipo genitori divorziati, alla fine quelle accuse ottengono il loro scopo e delegittimano il coniuge/alleato. Col risultato che anche candidati ottimi non vengono sostenuti. Sindaco leghista, perché io meloniano devo votarti, che sei servo di Draghi? Meglio il mare. Candidato di destra, perché io elettore forzista devo votarti, che tifi Visegrad? Piuttosto il padel. E così via, facendosi del male come diceva Nanni Moretti.

Sarebbe il semplice lamento di una tifoseria sconfitta, se non fosse che tutto questo disastro ha un costo. Imposte locali aumentate, multe moltiplicate, parcheggi rincarati, soldi pubblici buttati in accoglienza, Pride e manifestazioni correttissime, sicurezza carente e tutto il caravanserraglio delle politiche anti-classe media che ci si possono aspettare dalle amministrazioni di sinistra. Perché funziona così, ogni vuoto lasciato viene riempito e a pagare il prezzo sono sempre gli stessi.

Ecco perché il centrodestra dovrebbe ricominciare ad ascoltarli.

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