
Dopo il botta e risposta di missili nella notte, gli appelli accorati dalla comunità internazionale alla calma, una cinquantina di vittime civili e migliaia di sfollati dall'inizio delle ostilità, è arrivata ieri la notizia sul social di Donald Trump Truth: «Dopo lunghe ore di colloqui mediati dagli Usa, sono lieto di annunciare che India e Pakistan hanno raggiunto un accordo per un completo e immediato cessate il fuoco. Congratulazioni a entrambi i Paesi per usare buon senso e grande intelligenza». Ma subito l'India ha rettificato: «L'interruzione dei combattimenti, annunciata dal presidente americano, è stata negoziata direttamente tra i due Paesi». La notizia è stata poi confermata ufficialmente a Nuova Delhi dal Segretario agli Esteri Vikram Misri nel corso di una conferenza stampa. Misri ha specificato che «i direttori generali delle operazioni militari hanno trovato l'accordo per bloccare tutti gli scambi a fuoco e le operazioni di terra, mare e cielo». Si abbassano dunque le armi nel Kashmir dopo 4 giorni di ripresa dei combattimenti. La cessazione degli scontri tra Nuova Delhi e Islamabad è entrata in vigore da subito, dalle 13,30 ora italiana di ieri (le 17 in India).
La scintilla che ha fatto precipitare la situazione è scoppiata martedì 22 aprile. Quel giorno un gruppo di terroristi ha fatto strage di turisti indù a Pahalgam, nella regione del Jammu e Kashmir, amministrata da Nuova Delhi. L'attacco ha provocato 26 vittime ed è stato rivendicato dal gruppo terroristico islamico Fronte della Resistenza, frangia affiliata al gruppo pakistano Lashkar-e-Taiba. Il governo indiano ha subito identificato tre potenziali sospetti, e ha ipotizzato un coinvolgimento dell'esercito pakistano. Da quel momento è iniziata la risposta indiana che prima ha coinvolto le diplomazie e gli accordi commerciali, tra cui la sospensione del Trattato sulle acque dell'Indo, firmato nel 1960, che permette l'irrigazione necessaria all'agricoltura nella valle del grande fiume. Le autorità pakistane hanno denunciato di aver subito un calo del 90 per cento nella fornitura d'acqua. Infine Nuova Delhi ha lanciato l'operazione militare antiterroristica Sindoor, che ha causato almeno 45 vittime.
India e Pakistan, l'una a maggioranza indù, l'altro a maggioranza musulmana, sono nati da una divisione a tavolino dopo il collasso dell'Impero Britannico nel 1947. Sono entrati in conflitto almeno altre quattro volte negli ultimi decenni. Entrambi i Paesi sono in possesso di ordigni nucleari, perciò una guerra tra di loro è temuta a livello internazionale. La crisi al confine del Kashmir interessa in particolare la Cina, più vicina al Pakistan. Gli Stati Uniti invece sono politicamente più prossimi all'India del premier Narendra Modi. Su come le trattative siano andate, però, il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha chiarito che è stato lui stesso assieme al vicepresidente JD Vance ad aver avuto colloqui con alti dirigenti delle due nazioni, e con i primi ministri indiano Modi e pachistano Shehbaz Sharif, per portare avanti la mediazione. Nuova Delhi e Islamabad hanno concordato anche, ha precisato Rubio, «l'avvio di negoziati diretti su una vasta gamma di questioni in un sito neutrale». Ma nella serata di ieri di nuovo cattive notizie.
Poche ore dopo il cessate il fuoco sono state udite esplosioni nella città di Srinagar, nel Kashmir indiano. A scriverlo su X è Omar Abdullah, primo ministro del territorio federale di Jammu e Kashmir. Il Pakistan, secondo una fonte del governo di Nuova Delhi, ha già violato la tregua.
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