Politica

E Scalfari si serve del film per lanciare il suo libro

Nonostante la raffica di banalità su "Youth", vecchiaia e amicizia, l'editorialista si conferma un vero maestro. Nell'autopromuoversi

E Scalfari si serve del film per lanciare il suo libro

Eugenio Scalfari ha una vitalità incredibile per la sua età: 90. Nel 1976 fondò La Repubblica, che è diventata un gigante con la testa d'argilla, e la diresse per circa vent'anni. Ancora oggi ci scrive ogni domenica articoli sterminati; analizza fatti economici e politici con prosa torrentizia e, a parte qualche svarione (che egli non perdona a nessuno tranne a se stesso), rivela una lucidità invidiabile, benché le sue previsioni quasi mai trovino riscontro nella realtà: questione di sfortuna. Periodicamente nasce un suo libro che suscita ammirazione nei commentatori, specialmente se amici dell'autore, ma non entusiasma i lettori, almeno a giudicare dalle copie vendute: e in questo caso la sfortuna non c'entra.

Le consorterie di sinistra incidono sulla fama di molti personaggi a esse cari, ma non influenzano il mercato librario, poco eccitabile dai peana dei recensori. Un saggio (o un romanzo) è come un figlio: tu lo fai, poi va per conto proprio se ha gambe.

Non pago della consueta attività pubblicistica, ogni tanto il vegliardo esce dal seminato e cerca gloria in campi a lui non congeniali. Ieri, per esempio, si è abbandonato a un capriccio: ha vergato un pezzo sui tre film italiani in gara a Cannes, definendoli bellissimi; uno in particolare, quello di Paolo Sorrentino, Youth - La giovinezza. La quale giovinezza in teoria non dovrebbe essere una materia consona a Eugenio, che ha l'età del dattero (chi lo semina non lo mangia); egli tuttavia, sfruttando i ricordi e l'esperienza, è in grado di trasformarla in plastilina e utilizzarla per costruire una filza di luoghi comuni, nobilitati da un paio di citazioni colte; tira in ballo Cicerone e Montaigne a proposito dell'amicizia. Per parlare di sé, tutto fa brodo, nella fattispecie un po' annacquato, anche se il fine è quello di strappare l'applauso agli estimatori del «cuoco».

Il film di Sorrentino è un pretesto che offre il destro al grande giornalista per tentare di apparire un altrettanto grande scrittore, ciò che non è e che vorrebbe essere: non si accontenta di aver volato decenni con le ali (le pagine) della propria creatura cartacea. Infatti il pistolotto sfornato da Scalfari è teso a reclamizzare la prossima uscita di un ennesimo libro (dedicato alla vecchiaia) firmato da lui medesimo. E qui salta fuori il Narciso che c'è in tutti noi e che nel fondatore di Repubblica è prorompente, incapace di appisolarsi un istante; un Narciso inquieto, mai domo, ignaro dei dati anagrafici che lo condannerebbero alla rassegnazione.

L'inossidabile penna svaria. Racconta l'ovvio con l'aria di svelare cose inedite: la rapida crescita dei bambini e le loro scoperte; le gioie e i batticuori amorosi degli adolescenti, che per la vita intera rimarranno impressi nella memoria; le conquiste dei giovani proiettati verso il futuro e indifferenti al passato; e, per concludere, le malinconie della maturità e le tribolazioni della vecchiaia avanzata.

L'esistenza e il suo consumarsi, se si narrano di fretta in un articolo, e non vengono esplorate nelle pieghe più intime, sono scontate: raramente presentano aspetti interessanti per chi abbia campato abbastanza. Ma Eugenio è persuaso, descrivendole, di scoprire chissà che; non si accorge di spacciare l'acqua calda per intuizioni folgoranti. È talmente pieno di sé da non avere spazio per altre emozioni che non siano banali constatazioni della propria decadenza, comuni a ogni persona che si avvicini al traguardo.

Nel peggio ci assomigliamo tutti, ma non lo ammettiamo, convinti erroneamente della nostra singolarità. Cosicché sbagliamo anche nelle valutazioni. Non è vero che per i ragazzi il tempo scorra velocemente. Essi hanno sì la smania di diventare adulti, ma il cammino è lento e hanno la sensazione di non arrivare mai a destinazione. Però le loro giornate scorrono veloci, zeppe di impegni, anche ludici. Viceversa per i vecchi 24 ore sono interminabili, mentre un anno fugge via in un baleno.

Può darsi che la fatica letteraria scalfariana di ventura pubblicazione sia un'opera d'arte. Nell'eventualità ne prenderemo atto e saremo pronti a lodarla, non essendo ottenebrati da preconcetti nei confronti dell'uomo, il quale, a differenza di noi, considera indegno chi la pensi in modo diverso da lui. Ma se ci dobbiamo basare sull'anticipazione che ci ha inflitto ieri sul suo quotidiano, non possiamo nascondere perplessità. Abbiamo la sensazione che sia sul punto di propinarci una mappazza, una sorta di manuale di psicologia spicciola e filosofia per casalinghe, buono per rotocalchi femminili, quelli di una volta, quando Berta filava. Speriamo di sbagliare.

Scalfari dovrebbe sforzarsi di essere coerente col proprio passato oppure rinunciare ad avventurarsi in operazioni editoriali a scopo terapeutico, cioè dirette a combattere la depressione senile. Sia chiaro: egli è libero di agire come crede. Le nostre sono soltanto osservazioni, alle quali ne aggiungiamo un'ultima.

Alcuni anni orsono Eugenio dichiarò in tv che l'Ordine dei giornalisti avrebbe dovuto espellermi dalla corporazione degli scribi per la nota vicenda Boffo, sorvolando sul fatto che, per motivi ben più gravi, egli fu condannato e, onde non avere grane carcerarie, si fece eleggere deputato nelle liste del Psi. Nessuno ne chiese la radiazione, tantomeno io. Tornato in redazione, l'ex onorevole decollò e, morto Indro Montanelli, è ora considerato il papa dei giornalisti, tant'è che discetta con i pontefici di argomenti religiosi.

Normale. La processione è lunga e, quando la candela sta per spegnersi, si guarda in cielo: e se Dio ci fosse?

Commenti