Terrorismo

Troppi dubbi sull'Isis. La pista dei curdi umiliati dal Sultano e "traditi" dalla Nato

Jihadisti indeboliti e "vicini" agli 007 turchi. L'ipotesi (torbida) di strategia della tensione

Troppi dubbi sull'Isis. La pista dei curdi umiliati dal Sultano e "traditi" dalla Nato

«È stata una donna kamikaze». Così sentenziava ieri sera, il vice presidente turco Fuat Oktay diffondendo i primi elementi emersi dalle indagini sull'attentato che ha causato sei morti e oltre ottanta feriti nella zona pedonale tra via Istiklal e piazzo Taksim, vero cuore turistico e metropolitano di Istanbul. In assenza di una rivendicazione precisa le dichiarazioni del vice presidente fanno propendere per due possibili scenari. Il primo è un ritorno ai tempi bui di quattro o cinque anni fa quando lo Stato Islamico firmò diversi sanguinosi attentati messi a segno tra Istanbul e altre città della Turchia. Un secondo scenario porta a ipotizzare il ritorno sulla scena di quelle militanti nazionaliste curde coinvolte, stando a vecchie, ma significative statistiche dei servizi di sicurezza turchi, nel 55 per cento degli attacchi rivendicati tra il 1996 e il 2010 dal Pkk, la formazione del Partito dei Lavoratori Curdi guidata da Abdullah Ocalan. Ovviamente in mancanza di dati certi la cautela è di rigore.

Tempi, modalità dell'azione e contesto geopolitico spingerebbero, però, a prendere per buona la pista curda. L'utilizzo di attentatrici suicide - pur non assente nella ritualità che accompagna e identifica le azioni dello Stato Islamico e di altre organizzazioni del terrorismo islamista - rappresenta un'eventualità rara o quantomeno inconsueta. Inoltre va ricordato che l'Isis, duramente colpito sia in Siria sia in Irak dopo il 2019, ha, ad oggi, tutto l'interesse a tener buoni rapporti con quei servizi segreti turchi con cui - non è un mistero, né una novità - ha sempre intrattenuto relazioni assai ambigue. Relazioni che hanno permesso a molti suoi membri in fuga di riparare, in attesa di momenti migliori, proprio sui territori di Ankara.

Dunque in assenza di un kamikaze maschio e di comprovate responsabilità islamiste risulta inevitabile ipotizzare anche una matrice più marcatamente politica. Anche sul piano della contingenza geo-politica i curdi finiscono con il risultare i maggiori indiziati. Condizionando l'entrata nell'Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia all'interruzione di qualsiasi sostegno alla causa curda, Erdogan ha garantito completa libertà d'azione all'esercito turco. Un esercito impegnato in continui raid contro il Pkk e contro le formazioni ad esso collegate in Siria e in Irak. In questo scenario l'attentato punterebbe dunque a risvegliare l'attenzione di un'Europa e un'America distratte dal conflitto in Ucraina e ormai completamente indifferenti alla sorte dei combattenti curdi. Combattenti che si sentono abbandonati al proprio destino dopo esser stati usati per combattere l'Isis.

Ma molti commentatori, sottolineando sia le ambiguità sia le difficoltà politiche ed economiche della Turchia di Erdogan, ipotizzano anche un terzo scenario, assai più torbido. Nella primavera del prossimo anno il Paese sarà chiamato ad elezioni dal risultato assai incerto. Da quel voto dipenderà non solo la conferma alla presidenza del cosiddetto Sultano, ma anche la capacità del sua formazione - l'Akp, ovvero il Partito della Giustizia e dello Sviluppo - di mantenere il controllo del Parlamento. Il tutto in un clima di estrema incertezza economica segnato da un'inflazione superiore all'80 per cento e da un crollo del prodotto interno lordo pro-capite precipitato dai 12.150 euro del 2012 ai 7.200 euro di questi giorni. Per non parlare della continue e progressive restrizione di libertà e diritti civili accompagnate da continui arresti di giornalisti e oppositori. Un clima in cui la disinformazione è la regola e in cui, come già avvenuto alla vigilia di precedenti prove elettorali, la strategia della tensione può tornare a giocare un ruolo non indifferente. L'attentato di ieri arriva, infatti, a meno di un mese dalle clamorose uscite di Erdogan che a Praga, durante una cena in compagnia di ministri e leader europei, minacciò d'invadere la Grecia e le sue isole.

Parole destinate ad aumentare quel clima di tensione che assieme alla paura per nuovi attentati potrebbe, come già in passato, contribuire alla vittoria dell'inveterato Sultano.

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