N el giorno in cui l'America celebra l'icona della battaglia per i diritti degli afroamericani, Martin Luther King, Donald Trump tenta di levarsi di dosso il macigno delle accuse di razzismo negando categoricamente di discriminare in qualsivoglia modo gli immigrati provenienti da Haiti, El Salvador e alcuni Stati africani.
Da giorni la presunta frase sui «Paesi di m...» tormenta il presidente Usa, ma lui, parlando ai giornalisti al Trump International Golf Course di Palm Beach, in Florida, ha ribadito: «No, non sono un razzista. Sono la persona meno razzista che avete mai intervistato, ve lo posso assicurare». E ha smentito nuovamente di aver usato l'espressione offensiva «shithole countries» nei confronti degli Stati di origine degli immigrati. «Avete visto cosa hanno detto vari senatori presenti a quell'incontro?», ha aggiunto riferendosi a due senatori repubblicani che hanno partecipato alla riunione nello Studio Ovale con un gruppo di parlamentari per cercare un accordo sull'immigrazione. «Non ha usato quella parola, è un grave travisamento», ha spiegato David Perdue della Georgia, che inizialmente ha dichiarato di non ricordare i termini usati da Trump.
Il collega dell'Arkansas Tom Cotton, invece, ha sollevato dubbi sulla credibilità del democratico Dick Durbin, il quale ha confermato che il presidente ha usato l'espressione incriminata. «Il senatore Durbin ha una storia nel travisare ciò che accade alle riunioni della Casa Bianca - ha affermato -. Quindi forse non dovremmo essere sorpresi da questo». Perdue e Cotton, poi, hanno ricordato come Trump abbia «fatto notare lo squilibrio nel nostro attuale sistema sull'immigrazione, che non protegge i lavoratori e l'interesse nazionale».
E in difesa del Commander in Chief si è espressa anche l'ex consorte Ivana Trump. «Non è un razzista, anche se di tanto in tanto può dire delle stupidaggini», ha affermato la prima moglie del presidente, madre di Ivanka, Donald Jr ed Eric. Sottolineando poi che l'ex marito è una persona molto organizzata e concentrata, che guida il Paese come un'azienda. Intanto, a Washington, questa settimana il Congresso ha l'arduo compito di trovare un accordo sulla sorte dei dreamers per evitare il blocco della spesa pubblica, venerdì. I democratici chiedono la protezione per i beneficiari del Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals), il programma per gli immigrati arrivati da bambini negli Stati Uniti da genitori illegali, in cambio di finanziamenti per la sicurezza delle frontiere. I colloqui, però, sono in fase di stallo dopo la bufera sulle affermazioni del presidente, che da parte sua continua ad attaccare i dem. «Onestamente non penso che i democratici vogliano raggiungere un accordo. Parlano di Daca, ma non vogliono aiutare... Noi siamo pronti, disponibili e in grado di fare un accordo ma loro non vogliono», ha detto The Donald. «Non vogliono la sicurezza alle frontiere, non vogliono fermare la droga, vogliono prendere i soldi dai nostri militari, questi sono alcuni dei punti critici», ha proseguito. «Il mio standard è molto semplice, America First e fare l'America di nuovo grande».
Trump è tornato ad esprimersi anche sulla crisi nordcoreana. «Vedremo cosa accadrà con la Corea del Nord.
Ci sono discussioni importanti in corso, come sapete in particolare sulle Olimpiadi», ha spiegato Trump ai giornalisti, a margine della cena in Florida con il capogruppo repubblicano alla Camera Kevin McCarthy: «Molte cose possono accadere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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