New York. Continua a tenere banco la questione della gestione del coronavirus da parte della Cina e delle responsabilità di Pechino riguardo l'origine del Covid-19. L'amministrazione di Donald Trump vuole un'indagine internazionale per capire se il Dragone ha gestito male o nascosto i contagi nella fase iniziale. E in risposta al crescente pressing globale per l'avvio di tale inchiesta, il gigante asiatico ora sostiene la proposta di un panel sotto la guida dell'Oms che esamini la risposta globale alla pandemia. La portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, fa sapere però che l'iniziativa dovrebbe essere condotta «in modo aperto, trasparente e inclusivo» e al «momento più opportuno, quando la crisi sarà finita». L'esame della vicenda, inoltre, dovrebbe essere svolgersi sotto la guida del direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, e ogni iniziativa deve essere presa nel rispetto del Regolamento Sanitario Internazionale e autorizzata dagli organismi di governo dell'agenzia Onu. E se gli Usa, insieme all'Australia, chiedono formalmente l'apertura di un'indagine, diversi paesi - tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna - sollecitano Pechino ad osservare una maggiore trasparenza e a fornire più informazioni su gestione del virus e crisi. Il Dragone, tuttavia, continua a respingere le accuse, dicendo di aver fornito le informazioni in modo tempestivo.
Dopo settimane con toni da guerra fredda tra Washington e Pechino, però, si intravede qualche segnale di disgelo tra le due potenze sul fronte dei dazi. Il vicepremier cinese Liu He e le sue controparti Usa - il rappresentante per il Commercio Robert Lighthizer e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin - hanno avuto un colloquio telefonico, e secondo quanto riportato dall'agenzia Xinhua i due paesi si impegnano ad attuare la «fase 1» dell'accordo sul commercio siglato a gennaio, concordando di proseguire con la collaborazione. A frenare gli entusiasmi è invece il presidente Trump, che in un'intervista alla Fox spiega di non aver ancora preso alcuna decisione sui dazi, sottolineando le difficoltà con la Cina. Anche se, sul fronte pandemia, dice di non credere che Pechino abbia diffuso il virus di proposito.
Gli Stati Uniti, comunque, continuano a fare pressione sull'Unione Europea affinché sostenga la richiesta dell'indagine internazionale sulla genesi della crisi, ma Bruxelles - come riporta il Wall Street Journal - nicchia, e preferisce optare per un'inchiesta indipendente che esamini «gli insegnamenti tratti dalla risposta internazionale al virus». Nel frattempo, è finito nella bufera l'ambasciatore dell'Ue in Cina, Nicolas Chapuis. Il diplomatico nei giorni scorsi aveva dato il via libera alla pubblicazione di una lettera aperta, censurata da Pechino, al China Daily, firmata dall'Ue e dai paesi membri, senza prima consultare il suo quartier generale e le delegazioni dei 27. Lamossa ha scatenato le proteste di diverse cancellerie, e ha spinto Bruxelles a bacchettare il diplomatico. «La decisione» dell'ambasciatore, che ha autorizzato la pubblicazione della lettera censurata nel passaggio sull'origine del coronavirus, «non è stata quella giusta», ha detto una portavoce del rappresentante per gli affari esteri dell'Ue, Josep Borrell, pur giustificandone l'iniziativa con la motivazione di «tempi» decisionali «stretti» e rinnovandogli, almeno per il momento, la «fiducia».
Dalla Germania, il presidente della commissione Esteri del parlamento, tra i candidati alla leadership della Cdu, Norbert Roettgen, ha
manifestato la sua irritazione. «Sono scioccato non una, ma due volte - ha scritto su Twitter - Prima gli ambasciatori Ue adottano generosamente le narrative cinesi, e poi la rappresentanza dell'Unione accetta la censura».
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