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Trump alla prova dei "grandi elettori"

I 538 delegati voteranno senza ricevere informazioni sull'interferenza di Mosca

Trump alla prova dei "grandi elettori"

New York - Per Donald Trump è arrivato il giorno delle conferme: domani i 538 membri del collegio elettorale americano si riuniscono nelle capitali dei rispettivi stati per finalizzare la sua elezione alla Casa Bianca. L'8 novembre scorso il tycoon ha vinto con 306 grandi elettori contro i 232 di Hillary Clinton (anche se l'ex first lady ha ottenuto la maggioranza del voto popolare grazie al sostegno di stati densamente popolati come New York e la California), e come prevedono le leggi Usa sono proprio loro a dover confermare il responso delle urne. In realtà c'è ancora chi spera in un cambio di casacca in extremis, ma le possibilità di uno stravolgimento del risultato sono estremamente limitate, e definite dagli analisti fantapolitica. Anche se un grande elettore del Texas ha annunciato che non rispetterà l'esito del voto nel suo Stato poiché non se la sente di appoggiare «qualcuno che mostra quotidianamente di non essere degno della presidenza», un altro si è dimesso e altri ancora si sono rivolti al tribunale per chiedere di poter votare a loro piacimento, si tratta di casi isolati, che difficilmente impediranno a Trump di raggiungere la soglia necessaria di 270 grandi elettori. Inoltre, in 21 Stati sono già stati presi provvedimenti per sostituire gli eventuali «infedeli», mentre 29 stati hanno leggi che obbligano i collegi a seguire l'esito delle urne, anche se si tratta di norme deboli che prevedono soltanto sanzioni nominali. E se è vero che le presidenziali del 2016 hanno riservato parecchie sorprese, i casi di elettori infedeli dal 1968 ad oggi sono stati solo sei, e non hanno mai influenzato il risultato finale.

Di certo non sono stati soddisfatti i 54 elettori democratici (e il repubblicano «traditore» del Texas) che avevano chiesto un briefing con l'intelligence sulla presunta ingerenza russa nelle presidenziali. L'iniziativa è stata portata avanti da Christine Pelosi, elettore della California e figlia della leader della minoranza dem alla Camera, Nancy Pelosi. In una lettera inviata al numero uno degli 007 Usa, James Clapper, avevano domandato di essere aggiornati su ogni inchiesta in corso sull'eventuale ruolo di Mosca per cercare di favorire Trump, ma per ora non c'è stato nessun briefing, e non ci sarà prima di domani.

Sul dossier russo è intervenuto anche il presidente uscente Barack Obama, confermando che il Cremlino ha interferito sulla campagna elettorale americana ed è responsabile per aver hackerato i computer del partito democratico: «Si tratta di fatti basati su una valutazione uniforme da parte di tutte le agenzie di intelligence», ha detto. «Voglio mandare un messaggio chiaro alla Russia e ad altri: non continuate a fare questo perché possiamo cominciare a farlo anche noi», ha poi tuonato Obama, spiegando di non poter rivelare la prove secretate del cyber-attacco perché «rivelerei le fonti e i metodi della nostra intelligence».

Tuttavia, ha concluso, «ben poco succede in Russia senza il consenso di Vladimir Putin».

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