Roma La miglior difesa è l'attacco. Slogan perfetto per Paolo Di Donato, che dalla «sua» Sant'Agata dei Goti recitava la parte del leone nell'accoglienza migranti in provincia di Benevento. Gli affari vanno alla grande, le chiacchiere sono poche. Almeno fino a novembre 2015, quando il sito redattoresociale.it racconta i problemi di alcuni dei centri gestiti dal consorzio Maleventum, creato da Di Donato, che gestisce 13 strutture in provincia. Sovraffollamento, settimane senza acqua potabile, scarsi controlli. L'articolo è un sasso nello stagno, la replica è immediata. Non arriva da Di Donato, ma da tal Elio Ouchtati, 24 anni, che risulta amministratore unico della coop sociale, della quale Di Donato sarebbe solo «dirigente aziendale». Il consorzio si difende, ma in quell'articolo spicca la foto del «dominus» in posa accanto a una Ferrari 360 rosso fiammante. Arriva dal profilo Facebook dell'uomo, prodigo di immagini e piuttosto loquace (e polemico). Così, dopo che Mario Giordano gli dedica un capitolo di «Profugopoli» e il Giornale ne anticipa la storia decifrando l'identikit prima dell'uscita del libro, lui reagisce. «Non credo di fare una vita di lusso», dichiara a febbraio 2016. Lamentandosi dei soldi da pagare, negando che la Ferrari - e una Porsche - fossero sue, salvo poi ammettere di averle comprate «usate», definendole «stravecchie». L'uomo, che si è anche dato alla politica avvicinandosi a Ncd, dopo aver minacciato querele e gridato il suo sdegno su Facebook torna al lavoro, vantandosi semmai che da lì in avanti la tv si era ancora interessata a lui, ma solo in quanto «esperto di accoglienza». E rivendicando l'eccellente lavoro portato avanti con i migranti nonostante le infamanti accuse della stampa e degli invidiosi.
Ora Di Donato è finito ai domiciliari. Per la procura di Benevento ha messo su un sistema di corruzione per cui gli venivano assegnati più migranti di quanti potevano ospitarne i suoi centri, dove gli ospiti vivevano in pessime condizioni. Tanto, anche quando andavano via, sui registri venivano falsificate le firme dei migranti per farne risultare la presenza anche se non c'erano più. Proprio la foto in Ferrari è stata galeotta. Pare che abbia attirato l'attenzione di un concorrente nel settore dell'accoglienza costretto ad accontentarsi delle briciole, che aveva poi scoperto l'«asse» tra Di Donato e un funzionario della prefettura, mettendo tutto nero su bianco e denunciando l'uomo. E quando Di Donato capisce che non ci sono da rintuzzare solo le ispezioni e i controlli sui centri - per le quali veniva regolarmente avvertito in anticipo - ma che il cerchio di un'indagine su di lui gli si sta stringendo attorno, grazie alle gole profonde che gli spifferano dell'inchiesta, elargisce regali - secondo la procura tra questi c'è anche un'automobile - mette appartamenti a disposizione e ottiene una «visura» abusiva sui terminali della procura, che però non sfugge alla Digos, che pizzica la talpa immortalata insieme a Di Donato dalle telecamere del palazzo di giustizia mentre «controlla» la situazione.
In fondo lui stesso, a ottobre del 2016, spiegava quanto fosse difficile gestire quei 1000 migranti: «Facciamo del nostro meglio, stando attenti a quello che si può fare e non si può fare, dovendoci sostituire in più occasioni ad alcuni organi, istituzioni e poteri dello Stato». Forse su quello che non si può fare non è stato abbastanza attento.
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