Tutti i nodi del Pd: perché l'operazione Draghi ha stravolto i dem

Il Partito Democratico si ritrova a fare i conti con diversi nodi spinosi da sciogliere. E neppure Zingaretti può essere soddisfatto

Tutti i nodi del Pd: perché l'operazione Draghi ha stravolto i dem

All’indomani dell’annuncio dei 23 ministri che formeranno il nuovo governo, e nel giorno del giuramento di Mario Draghi, in casa Pd l’umore non è affatto dei migliori.

La situazione è paradossale. Il Partito Democratico fa parte dell’esecutivo, può "vantare" tre ministeri - gli stessi di Lega e Forza Italia, uno in meno del Movimento 5 Stelle – eppure si ritrova a fare i conti con diversi nodi spinosi da sciogliere. Insomma, anche se in pubblico i dem continuano ad assicurare la loro lealtà al governo Draghi, tra i corridoi del Nazareno si respira tanta amarezza. Intanto per l’assegnazione dei dicasteri.

I nodi del Pd

Al Pd sono andati – o rimasti – il Ministero della Difesa (Lorenzo Guerini), quello del Lavoro (Andrea Orlando) e dei Beni culturali (Dario Franceschini). I dem hanno invece perso due ministeri chiave come l’economia (passato da Roberto Gualtieri a Daniele Franco) e le infrastrutture (da Paola De Micheli a Enrico Giovannini).

Come ha raccontato Tpi.it, il risultato di quanto raccolto avrebbe creato diversi malumori. Il motivo è semplice: il Pd ha salutato due ministeri importanti come l’Economia e le Infrastrutture - così come il dicastero degli Affari Europei, strategico per mantenere le relazioni con Bruxelles - per ritrovarsi tra le mani dicasteri scottanti. "Ci ritroviamo in cambio il Lavoro, che sarebbe meglio chiamare della disoccupazione perché porterà solo problemi con la fine del blocco dei licenziamenti, e la Cultura, tra l’altro senza più il turismo che era la vera miniera d’oro", hanno sottolineato alcune fonti.

Guerini, hanno quindi spiegato le solite fonti, non avrebbe mantenuto il Ministero per merito del Nazareno, quanto piuttosto grazie al Colle, che lo avrebbe letteralmente salvato. Pare infatti che i ministeri a disposizione del Pd fossero due e non tre. Dunque, calcolatrice alla mano, i dem sono costretti a far passare l’operazioni Draghi come un successo politico anche se in realtà, per loro, si è trattato dell’esatto contrario.

Certo, agli occhi dei più ottimisti non manca il classico bicchiere mezzo pieni. Considerando l’11% al Senato e il 14% alla Camera, il Pd avrebbe ottenuto ottimi ministeri. "Poi Patrizio Bianchi e Giovannini sono molto vicini al Pd. Inoltre ben 8 ministri vengono dal Conte 2. Quindi la nostra alleanza con Leu e 5Stelle tiene. Insomma, è andata bene", hanno sussurato altre fonti.

I nodi di Zingaretti

Arriviamo poi al secondo problema: quello della scarsa rappresentanza femminile tra le fila del governo Draghi. Tra gli esponenti del Pd non è mancato chi ha protestato per il numero delle donne all'interno della squadra che comporrà il prossimo esecutivo, troppo basso e discriminante ai fini della parità di genere. La colpa non è del partito né di Nicola Zingaretti, hanno provato a giustificarsi dal Nazareno, ribadendo che le liste sono state fatte da Draghi sentendo il Quirinale.

La solita fonte, vicina al Segretario, è stata ancora più chiara: "Non sono state solo le donne del Pd ad essere sacrificate. Anche Zingaretti è stato sacrificato. Poteva fare il ministro, ma per non far entrare Salvini hanno tagliato anche lui e nel partito nessuno ha detto niente".

In ottica futura, i dem stanno iniziando a dare un’occhiata anche al calendario. All’orizzonte si stanno profilando le elezioni in alcune tra le principali città italiane, tra cui Napoli, Milano, Roma e Torino. Zingaretti farà di tutto per tenere in piedi l’asse con M5s e LeU.

Non sarà affatto facile, e comunque c’è chi ritiene che questo governo arriverà solo fino alla nomina del Capo dello Stato. "Poi ci sarà il voto. Dobbiamo tenerci pronti", ha aggiunto un big. Un altro retroscena, questo, che evidenzia il momento di difficoltà in cui si trova il Pd.

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