«E io non pago!». Questo è il messaggio che, simbolicamente, viene inviato dal premier Matteo Renzi ai pensionati che attendono la rivalutazione del proprio trattamento pensionistico dopo la sentenza della Consulta. Ovviamente, il premier non lo dice a chiare lettere e, tramite il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, continua a fare melina.
Il problema principale di Palazzo Chigi è evitare che questa tegola incida sulla campagna elettorale delle Regionali: dunque il primo obiettivo è evitare di dare l'idea che siano in arrivo nuove tasse per finanziare il «buco» creato dai giudici costituzionali. «Non mi sembra che ci sia una manovra all'orizzonte», ha detto ieri il titolare di Via XX Settembre in audizione al Senato. Il ministero dell'Economia, ha aggiunto, sta cercando una soluzione che «sia rispettosa della sentenza ma che minimizzi i costi per la finanza pubblica». Facile a dirsi. Ma quali sono questi costi? Di ufficiale ci sono i circa 5 miliardi di euro relativi alla sentenza che si basava sulle mancate rivalutazioni del 2012 e del 2013. Ma, è ovvio, lo sblocco inciderebbe anche sugli anni successivi e, quindi, il conto raddoppierebbe attestandosi, a seconda dei differenti metodi di calcolo, tra i 9 e i 10 miliardi (addirittura 16,6 miliardi secondo il centro studi Nens dell'ex ministro Vincenzo Visco). Stiamo parlando di uno 0,5% circa del Pil che, sulla base delle previsioni attuali, porterebbe il rapporto deficit/Pil del 2015 oltre la soglia del 3 per cento. Il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha già messo in guardia il collega Padoan. «È competenza delle autorità italiane dire quali sono le misure che intende prendere per compensare le perdite e garantire che l'Italia resti nella pista prevista del Patto di stabilità», ha dichiarato ieri.
«E io non pago!». Questa può essere l'unica risposta per evitare una nuova Via crucis nei corridoi degli euroburocrati di Bruxelles. Si sta, infatti, facendo strada l'ipotesi (che Padoan ieri non ha voluto commentare) di rimborsare solo parzialmente il pregresso e, per di più, a rate. Parzialmente perché dal meccanismo di rivalutazione resterebbero escluse le pensioni di importo elevato. Secondo alcune fonti, l'asticella dovrebbe essere posta al livello dei 3.800 euro mensili lordi, otto volte il minimo, un valore con ampi «margini di resistenza» alla mancata indicizzazione e che ha visto sempre bocciati i ricorsi alla Consulta in tema di rivalutazione.
Secondo altre fonti, invece, ci si fermerebbe solo alle più basse, non oltre 5 volte il trattamento minimo, cioè 2.300 euro lordi circa. La platea sarebbe di 4,3 milioni di pensionati (sui circa sei che non hanno avuto diritto alla perequazione) per una spesa di 7,2 miliardi per gli anni 2012 e 2013 in caso di recupero al 100 per cento. Gli arretrati, dovrebbero essere corrisposti a rate in modo da non sforare di molto una quota annua di 2 miliardi di euro, cifra assolutamente gestibile all'interno dei conti pubblici. I rumor circa un eventuale intervento sulle cosiddette «pensioni d'oro» non sono da trascurare. È vero che contro i tagli mascherati da contributi di solidarietà la Corte costituzionale si è già espressa in passato, ma l'idea sarebbe quella di intervenire in maniera più mirata, cioè ricalcolando con il sistema contributivo le pensioni più alte attualmente elargite con il vecchio retributivo (quando gli enti previdenziali garantivano a tutti un assegno pari all'ultimo corposo stipendio).
In questo modo, non ci sarebbe l'urgenza di nuove tasse, almeno fino alla prossima legge di Stabilità. E magari Renzi potrebbe inventarsi qualche nuova trovata elettorale promettendo elargizioni nello stile del bonus da 80 euro. Basta solo dire: «E io non pago!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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