Metodico e ordinato. Si sa che Mario Draghi predilige le maratone alle corse sprint che si bruciano in pochi secondi. E così, lontano dal clamore mediatico, ha impostato una domenica di lavoro con l'esame di almeno tre dossier urgenti: vaccinazioni, mobilità tra Regioni e la partita dei sottosegretari.
Il primo punto resta in cima alla sua agenda di governo. «La priorità è accelerare sui vaccini» ha ribadito ai suoi interlocutori, ricordando le sue dichiarazioni programmatiche alle Camere. E anche se ha mantenuto un basso profilo comunicativo, privo di dichiarazioni pubbliche, è trapelata la sua grande attenzione all'uscita su Repubblica del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha offerto la collaborazione di aziende e imprenditori per ampliare le vaccinazioni di massa fino a 12 milioni di soggetti. Un ulteriore tassello ai progetti del premier che ha quasi stilato uno slogan operativo sulla grande sfida che lo ha portato alla guida del Paese: «Serve che tutti si mettano in gioco, senza azioni isolate».
Draghi è rimasto molto turbato dalla vicenda di Giorgia Meloni, bersaglio dei volgari insulti sessisti da parte del professor Gozzini. Per questo ha agito con il suo stile: nessun comunicato stampa ma una calorosa telefonata di solidarietà alla leader dell'opposizione con il tacito consenso alla divulgazione della conversazione.
Nell'intera giornata trascorsa nel suo studio a Palazzo Chigi, l'ex banchiere centrale ha attivato altri contatti in vista del Consiglio dei ministri di questa mattina, dedicato in gran parte agli spostamenti degli italiani tra le Regioni in regime di pandemia.
Draghi ha fretta anche di sistemare il risiko dei sottosegretari che giureranno in settimana nelle sue mani. Sarà l'ultimo atto formale di insediamento di un governo che non può permettersi operatività limitata dopo i riti costituzionali, già ridotti all'osso per l'urgenza della crisi economico-sanitaria.
Ancora ieri il premier non ha voluto svelare come risolverà la delega ai servizi segreti, un'attribuzione cui non vuole rinunciare direttamente o tramite un referente di piena fiducia. E sarà molto attento nel valutare la lista di viceministri e sottosegretari che gli sottoporranno i partiti della sua vasta maggioranza. Anche in questo caso Draghi non vuole confondere un mandato fiduciario agli alleati con il ruolo del passacarte che ha concesso mano libera. Non rinuncerà alle sue prerogative di nomina nei ministeri, tanto che la scelta finale verrà attuata scremando una rosa di nomi non vincolante.
E vigilerà con rigore anche sulla composizione generale della compagine di sottogoverno per evitare malumori iniziali nel rapporto con le forze parlamentari che lo sorreggono. «La lista finale rifletterà gli equilibri politici» assicura ai leader.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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