Economia e finanza

Ubs salva il Credit Suisse. Operazione da 3 miliardi

L'ok dopo il no alla prima offerta. E la Banca centrale svizzera mette a disposizione 100 miliardi di liquidità

Ubs salva il Credit Suisse. Operazione da 3 miliardi

Tre miliardi di franchi, il triplo di quando offerto solo poco ore prima. Così Ubs è riuscita a piegare le resistenze di Credit Suisse e convincerla alle nozze forzate, mettendo forse la parola fine a uno psico-dramma in cui l'intera Svizzera rischiava di sciogliersi come un cioccolatino dal retrogusto amarissimo.

Sono state ore frenetiche quelle che hanno scandito l'intera giornata di ieri, con il Credit che aveva subito bocciato, definendola indecente, la proposta dei rivali di sempre. Secondo le indiscrezioni del Financial Times, sul piatto veniva messo un miliardo per strappare CS dal baratro. Non un centesimo in contanti, solo titoli in cambio di titoli. Con un rapporto di concambio che prezzava ciascuna delle azioni della banca di Zurigo appena 0,25 franchi svizzeri, cifra nettamente inferiore agli 1,86 franchi della chiusura di venerdì scorso. Poi, in serata, il rilancio: «Gli azionisti di Credit Suisse - si legge nella nota - riceveranno 1 azione Ubs ogni 22,48 azioni Credit Suisse detenute, pari a 0,76 franchi/azione per un corrispettivo totale di 3 miliardi di franchi». Ma la banca centrale elvetica mette a disposizione una linea di liquidità fino a 100 miliardi. Un super-paracadute. A cui si aggiunge per Ubs una garanzia da 9 miliardi sulle potenziali perdite di Credit Suisse. A conti fatti, trattasi di una liaison quasi a saldo zero. A maggior ragione se nelle pieghe dell'intesa sarà rimasta la clausola pretesa da Ralph Hamers, l'ad della banca di Paradeplatz, riluttante a mandare in porto un'acquisizione. Cioè quella che consente a Ubs di farsi da parte se oggi i credit default swap (i termometri che misurano il rischio di bancarotta) dovessero aumentare di 100 punti base, esprimendo la contrarietà dei mercati all'intesa e i timori di un contagio del sistema bancario.

Ubs si è messa in tasca un accordo super-blindato dopo aver tentato il colpo dell'offerta a prezzo stracciato, mentre i soci di CS hanno dovuto, obtorto collo, dire di sì per salvare l'istituto. Alla fine ha piegato la testa anche quella Saudi National Bank, primo azionista col 9,88% del capitale, che aveva dato la stura alla débâcle borsistica dopo aver dichiarato di voler chiudere i rubinetti della liquidità all'istituto rossocrociato. Come parte dell'accordo, le parti coinvolte avrebbero accettato una modifica della legislazione per evitare che la decisione di acquisizione venga sottoposta al voto degli azionisti di Ubs. Uno snodo che avrebbe richiesto diverse garanzie, in particolare una copertura per le spese legate a possibili contenziosi.

Nel caso la situazione fosse precipitata, l'extrema ratio sarebbe stata la nazionalizzazione del Credit. Come già avvenuto nel 2008 proprio con Ubs, uscita poi dall'ala pubblica nel 2013. Ma il governo di Berna, forte della risolutezza con cui la Banca nazionale svizzera e la Consob elvetica hanno spinto per il merger, era risoluto nel raggiungere un accordo entro la serata di ieri. Anche per evitare di esporre le banche alla reazione dei mercati, fin dall'avvio degli scambi in Asia. È stata «trovata una soluzione per assicurare la stabilità finanziaria e tutelare l'economia svizzera in questa situazione eccezionale», ha detto l'istituto centrale. «Questo non è un salvataggio ma una soluzione commerciale», hanno aggiunto le autorità elvetiche.

Le Borse fra poche ore emetteranno il verdetto su una fusione che non sarà indolore: Reuters stima in 10mila i tagli che si renderanno necessari. L'entità combinata dovrebbe rappresentare non più di un terzo del gruppo unito, il che significa che resta l'ipotesi della cessione per alcune singole divisioni della banca zurighese.

L'urgenza di stringere i tempi era data anche dalla necessità di fermare la fuga dei correntisti. I deflussi di depositi hanno superato i 10 miliardi al giorno alla fine della scorsa settimana, acuendo il clima di sfiducia che già negli ultimi tre mesi aveva svuotato gli sportelli di 111 miliardi.

Senza un accordo, il bank run sarebbe stato ancora più sanguinoso.

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