Un'alleanza dei filo europeisti può decidere il ballottaggio nel Paese argine della Nato a Est

Pressing delle cancellerie Ue sulla saldatura Antonescu-Dan per tenere Bucarest atlantista

Un'alleanza dei filo europeisti può decidere il ballottaggio nel Paese argine della Nato a Est
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Un gioco già visto in altre precedenti elezioni europee: anche in Romania il braccio di ferro alle presidenziali è tra destra populista ed «establishment» filo Ue. Il candidato della destra antieuropea, graditissimo alla Casa Bianca e generosamente aiutato sottobanco dal Cremlino (questo ci infliggono i tempi in cui viviamo), arriva in testa al primo turno con oltre il 30 per cento dei voti. Sostenuto dai media filorussi, filo Trump e filo Orbàn europei e americani, canta vittoria davanti a una folla esultante, proclama che il popolo romeno ha deciso, denuncia gli intollerabili attacchi alla democrazia (cioè a lui) orchestrati dalla diabolica Bruxelles, assicura che l'inevitabile trionfo al turno di ballottaggio inaugurerà finalmente una luminosa era per la Romania. Si contendono però il secondo posto intorno al 25 per cento due candidati centristi, filo Ue e filo Nato: il socialdemocratico Crin Antonescu e Nicusor Dan, sindaco indipendente di Bucarest. Antonescu, che pare il meglio piazzato, già invita alla calma, esorta a unire le forze contro l'estrema destra e a votare compatti per lui al secondo turno fissato tra due settimane.

Sondaggi già condotti danno qui Antonescu vincente con poco meno del 50% dei voti, mentre l'annunciato unto del popolo non arriverebbe al 40%. Quindi il vincitore apparente, come è già accaduto di recente in Austria, Francia, Germania, Moldavia e altrove, finisce battuto al secondo turno oppure a seconda delle peculiarità delle elezioni nei diversi Paesi non trova alleati per formare un governo e deve cedere la mano: per l'ennesima volta il sempre profetizzato trionfo della destra anti Ue non si concretizza, con grande scorno a Mosca, a Washington e presso molte segreterie di partito occidentali.

È questo lo scenario che è logico attendersi dopo il voto di ieri in Romania. Un Paese delle cui scelte politiche comprensibilmente ben poco ci è fino a ieri importato. Ma c'è un motivo se invece, nelle cancellerie che contano, il risultato delle elezioni a Bucarest viene attentamente osservato e perfino nei limiti del possibile manipolato. La Romania, infatti, riveste un ruolo geopolitico di grande rilievo in Europa. Basta guardare una mappa: confina con l'Ucraina e con la Moldavia, oltre ad avere uno sbocco sul Mar Nero. Per questo la Nato, di cui fa parte dal 2004, considera la Romania un baluardo fondamentale sui suoi confini orientali e vi investe cifre ingenti nella costruzione di comandi e basi militari.

È chiaro che, se la leadership politica di Bucarest passasse nelle mani di un euroscettico filorusso, il fronte occidentale che sostiene l'Ucraina aggredita dalla Russia subirebbe un grave colpo.

Per questo Putin aveva investito moltissimo nel sostegno di quel Calin Georgescu che, venuto dal nulla di un'estrema destra fino a quel momento marginalissima, aveva conquistato un inatteso primo posto alle presidenziali dello scorso novembre, poi annullate dalla Corte Suprema di Bucarest di fronte all'evidenza di ampie interferenze del Cremlino. Con Simion, come si è visto, la sostanza non è cambiata, ma ora almeno gli elettori romeni sono stati messi sull'avviso. Se ne riparlerà al secondo turno, secondo copione.

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