
Quanto può scuotere una frase di sette parole scritta in italiano stentato? Tanto, quando si parla di soluzione finale, di Hitler, di Seconda guerra mondiale. Tanto, quando viene incisa in rosso su una montagna isolata a una manciata di chilometri dalla Linea Gustav. Tanto, quando quelle ventinove lettere rette da una croce sovrastano la lapide posata per ricordare gli operatori di pace del secolo scorso. È il segno dei tempi: condannare una strage rimpiangendone un'altra, la più terribile dell'era contemporanea. "Hitler ne ha rimasti molti di ebrei". Quel cartello è comparso a Caserta, sulla montagna di San Michele che guarda verso la Reggia, lì dove ottanta anni fa misero piede gli ultimi nazisti per firmare la fine della campagna d'Italia e la definitiva sconfitta nella penisola. A trovare la didascalia dell'odio è stato un avvocato: Luca Di Majo, componente del direttivo di Fratelli d'Italia a Caserta. La sua foto ha fatto subito il giro del web.
Una bravata, si dirà. Una provocazione. Qualcuno giustificherà persino quelle parole. Non è più la banalità del male, è lo smarrimento del pudore. Che appartiene a chi ancora si inginocchia e piange, a chi ha i brividi se pensa a sei milioni di persone sterminate, a chi sbatte le palpebre per non riuscire a vedere corpi ridotti a mucchi di ossa. Allora come oggi. Theodor Adorno diceva che scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie. Lo è anche dopo Gaza. Non parlava di generi letterari, ma dell'incapacità del pensiero critico di misurarsi con lo sterminio. Oggi siamo oltre. Non conta più l'umanità, conta il bianco o il nero. Da una parte o dall'altra. Conta spostare l'odio da un lato all'altro della scacchiera. Abbiamo perso la memoria del XX secolo.
Perché la memoria del male non riesce a cambiare l'umanità? A che serve la memoria? L'aforisma di Caserta arriva dopo quelli (non dissimili) visti alle manifestazioni di Milano, segue la cacciata degli israeliani dai ristoranti. E i pestaggi. Per cancellare la Storia. Per dimenticare.