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Orfano dei partiti, il "moloch" si rigenera

Gli uomini delle "Larghe intese", fra ex Pci, ex Dc e rosaverdi. Con Poletti al governo

Orfano dei partiti, il "moloch" si rigenera

C'erano una volta le coop rosse e la loro galassia parallela al partito - prima Pci, oggi Pd - con intrecci di interessi, affari e consensi. Oggi il rosso è un po' sbiadito e certi rapporti si sono evoluti, ma non sono del tutto scomparsi. Anzi, con l'avvento di Matteo Renzi, le coop sono diventate anche un bacino di classe dirigente da cui pescare. Lo dimostra la scelta di Giuliano Poletti che per accettare il posto di ministro del Lavoro - il più esposto ai contraccolpi della crisi economica e sociale - offerto dal premier ha rinunciato al timone della Legacoop. Ma che da neoministro, aveva esordito in tv proprio con una gaffe («rappresento 12 milioni di cooperatori») da cui Freud avrebbe ricavato molti punti interessanti.

Certo, scandali, fallimenti a catena, investimenti sbagliati, guerre intestine e soprattutto le conseguenze della crisi finanziaria hanno fatto estinguere molti dinosauri del sistema. Che ha dovuto cambiare pelle, oltreché interlocutori, facendo di necessità virtù. Oggi, anche per compensare le perdite delle cugine attive nelle costruzioni e negli appalti pubblici, le nuove coop «di consumo e di governo» seguono la scia politica delle larghe intese e stanno marciando verso l'unificazione multicolore: le rosse (quelle capitanate dall'ex braccio finanziario del Pci, Legacoop) più le bianche di Confcooperative (un tempo organiche alla Dc e ora vicine al club ciellino) e le rosaverdi dell'Agci, di ispirazione repubblicana e socialdemocratica. I vecchi partiti non ci sono più ma le tre centrali cooperative lottano ancora, stavolta «tutte per una e una per tutte». Il nuovo moloch cooperativo, rimasto orfano dei partiti, vuole rigenerarsi grazie ai sedicenti rottamatori (che al governo hanno chiamato uno storico rappresentante del sistema) e ai loro amici (con cui fare affari, vedi Eataly). Continuando a giocare sul campo della finanza, visto che le coop sono l'azionista di riferimento di un colosso assicurativo come UnipolSai. Quella della tentata scalata a Bnl, mossa dall'ex padre-padrone Giovanni Consorte che al tempo aveva come direttore finanziario l'attuale numero uno della compagnia, Carlo Cimbri. Quella stessa Unipol dell'«Abbiamo una banca?» di fassiniana memoria. Quando Consorte fu sconfitto, i suoi colleghi cooperatori lo cacciarono. E al vertice del gruppo salì Pierluigi Stefanini, oligarca storico della coop Adriatica. «Come è cambiato il rapporto fra il mondo cooperativo e la finanza rispetto a quel periodo?», ha chiesto il Giornale ai vertici della nuova Alleanza 3.0 riuniti ieri a Milano. Ci ha risposto Paolo Cattabiani, presidente di Coop Nordest: «Al tempo avremmo fatto volentieri l'operazione Bnl perché la banca sarebbe rimasta italiana. Peccato che le cose siano andate diversamente». Cattabiani è anche nel cda di Unipol, come Adriano Turrini (il futuro presidente della supercoop) e come l'attuale presidente di Coop Estense, Mario Zucchelli che siede anche in quello di Finsoe.

Da «una testa, un voto» a «una testa, più poltrone».

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