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Tra uragani e siccità la Giamaica resta a secco. E senza marijuana precipita anche l'economia

A mandare in tilt il mercato anche il crollo del numero degli agricoltori

Tra uragani e siccità la Giamaica resta a secco. E senza marijuana precipita anche l'economia

San Paolo Se fosse ancora vivo Bob Marley si rivolterebbe nella tomba. La notizia che arriva dalla sua Giamaica contraddice infatti una delle poche certezze, ben descritta da milioni di t-shirt con sopra stampati il volto del Re del reggae e la foglia di marijuana: l'isola simbolo dell'erba ed icona dello spinello libero è rimasta senza cannabis.

«No woman, no cry», cantava Bob a inizio anni 70 ma, in un mondo senza ormai più certezze, ci mancava solo questa, che è un po' come se ad Alba finisse il tartufo bianco. Il motivo della scarsità del prodotto simbolo giamaicano è semplice. Da un lato le forti piogge della stagione degli uragani dell'anno scorso cui ha fatto seguito una tremenda siccità, dall'altro il crollo del numero di agricoltori che coltivano la marijuana ai margini del complesso e corrotto sistema legale giamaicano. Questa la «combinazione letale» che, da circa un mese, ha mandato in tilt il mercato dello spinello nel suo feudo più celebre al mondo. «È il momento peggiore di cui ho memoria, oltre che una vergogna culturale», denuncia Triston Thompson, dirigente di Tacaya, una società di consulenza della nascente industria della cannabis legale. Già perché la patria di Marley è anche il paese che dopo l'Uruguay ha legalizzato per primo la cannabis nelle Americhe, nel 2014. Dall'anno dopo, il possesso di «maria» è di fatto consentito sino ad almeno due once, pari a 57 grammi, una discreta quantità per «fumare» con gli amici senza rischi. Oltre che per uso personale la «ganja», così chiamano la marijuana in Giamaica, è da sei anni legale anche per qualsiasi scopo legato alla fede. Oltre al reggae il Paese caraibico è anche noto per il Rastafari, un movimento religioso nato negli anni 30 tra i contadini neri discendenti degli schiavi africani. Oggi sull'isola chiunque può coltivare fino a cinque piantine nell'orto per consumo personale, mentre gli adepti del rastafarianesimo possono fumarsi tutta la «maria» che vogliono per scopi sacramentali. Questa religione, oltre ad unire musica e religione, considera la «ganja» un'erba sacra utilissima per avvicinarsi a Dio. Tutto ciò in teoria, visto che adesso a mancare è proprio la cannabis amata da Marley. Nonostante la legalizzazione che ha coinvolto però solo pochi produttori, il problema è che a sorreggere l'offerta continua ad essere la produzione illegale. E piogge e siccità hanno causato perdite enormi proprio agli agricoltori che coltivano la marijuana fuori dal sistema legale. Una situazione resa ancora più grave dal coprifuoco governativo per il Covid, dalle sei del pomeriggio sino all'alba, che ha impedito ai contadini illegali, la grande maggioranza, di raccogliere cannabis di notte, come è loro consuetudine per evitare i controlli della corrotta polizia locale. Per questo oggi fa quasi tenerezza quanto disse, nel 2014, l'allora sindaco della capitale Kingston Angela Brown: «È arrivato il momento di dare ai giamaicani l'opportunità di trarre profitto dall'industria della marijuana».

Per ora l'unico risultato è che oggi la cannabis manca, mai successo prima nella patria di Bob Marley.

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