Usa, Francia e Gran Bretagna tentano di serrare le fila nei confronti di Damasco attraverso telefonate tra i rispettivi leader e reiterate minacce di attacco a obiettivi militari siriani. Ma la green light per una rappresaglia dell'Occidente contro Bashar al Assad rimane ostaggio della contesa in corso a Washington tra il prudente Jim Mattis e il falco John Bolton. Anche se la portavoce del dipartimento di Stato Usa, Heather Nauert, afferma: «gli Stati Uniti hanno le prove che l'attacco con armi chimiche è opera del governo siriano». Alla Casa Bianca sono ore di frenetiche consultazioni, con il segretario alla Difesa che frena l'azione militare paventata dal presidente Donald Trump perché preoccupato che i raid in Siria possano degenerare in un più ampio conflitto tra Russia, Iran e Occidente.
I vertici del Pentagono predicano la massima prudenza, e davanti alla commissione delle Forze armate della Camera, il generale Mattis spiega: «Stiamo cercando di fermare l'assassinio di persone innocenti. Ma a livello strategico, dobbiamo ragionare su come evitare un'escalation fuori controllo». L'idea è di aspettare almeno gli ispettori dell'Opac (l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) che stanno per arrivare in Siria, e dovrebbero iniziare il loro lavoro nelle prossime ore. Mattis e il capo di stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi, generale Joseph Dunford, sono «preoccupati su come gestire l'escalation», e tentano di frenare i sostenitori della linea interventista, a partire da Bolton. Anche l'ambasciatrice americana all'Onu Nikki Haley, fedelissima del tycoon, parla di un «approccio molto approfondito», e sottolinea che «una decisione così delicata non può essere presa di fretta». «Trump non ha ancora deciso in merito a possibili azioni, ma se gli Stati Uniti e gli alleati decidessero di agire, sarebbe in difesa di un principio su cui siamo tutti d'accordo», chiosa.
Intanto il Commander in Chief Usa ha parlato nuovamente al telefono con la premier britannica Theresa May e il presidente francese Emmanuel Macron. Il governo di Londra ha dato il via libera a May a coordinarsi con Washington e Parigi per un'azione militare in Siria, e ritiene che sia «necessario agire», mentre Macron ha ribadito di «avere le prove» dell'uso di armi chimiche da parte di Damasco. E al Palazzo di Vetro, dove il Consiglio di sicurezza ha tenuto una nuova riunione di emergenza, va in scena l'ennesimo durissimo braccio di ferro tra Usa e Russia. Haley spiega che secondo Washington le forze del presidente siriano hanno usato le armi chimiche almeno 50 volte dall'inizio della guerra, mentre il collega russo Vassily Nebenzia ribatte che America, Francia e Gran Bretagna «sono interessati solo a rovesciare Assad in Siria e a contenere Mosca». Avvertendo che «non può escludere» la possibilità di una guerra con gli Stati Uniti, pur se «la priorità immediata è evitare il pericolo di un conflitto». Il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov, nel frattempo, dice di essere in possesso di «prove inconfutabili» che quanto avvenuto a Duma è stato «un incidente organizzato».
Le accuse del governo russo, secondo cui Londra sarebbe dietro la «messinscena» dell'attacco chimico di sabato scorso, vengono però rispedite al mittente dall'ambasciatrice britannica alle Nazioni Unite, Karen Pierce, che le definisce una «sfacciata menzogna». Il segretario generale Antonio Guterres, da parte sua, lancia un rinnovato appello ad «evitare che la situazione diventi incontrollabile».
«L'aumento delle tensioni e l'incapacità di raggiungere un compromesso nella creazione di un meccanismo per indagare sulla responsabilità» degli attacchi chimici in Siria - avverte - «minacciano di portare a una conclamata escalation militare; il Medio Oriente è nel caos, la Guerra Fredda è tornata».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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