Usa, tutti contro Hillary E vince il «nemico» Rubio

Molti attacchi personali e pochi contenuti. Non brillano né Trump né Carson, nonostante siano in testa nei sondaggi. Il senatore della Florida fa la differenza

Tutti contro tutti, ma soprattutto, tutti contro Hillary: si può riassumere così il terzo dibattito televisivo dei candidati alle primarie repubblicane per Usa 2016. Secondo diversi osservatori il confronto tra gli esponenti del Grand Old Party da Boulder, in Colorado, è stato caratterizzato da troppi attacchi personali e da un confronto limitato sui contenuti. A parere di molti, è finito il tempo della soap opera : sul palco della University of Colorado non hanno brillato né il re del mattone Donald Trump, né l'ex neurochirurgo Ben Carson, che si giocano in questa fase il ruolo da frontrunner nello schieramento repubblicano. I due maestri della provocazione sino ad ora si sono sfidati a chi la spara più grossa, ma mercoledì sera sono sembrati sottotono, e di fronte alle domande specifiche dei moderatori di Cnbc sui principali temi di economia e finanza hanno mostrato i loro limiti. I media, invece, hanno consegnato al giovane senatore della Florida Marco Rubio la palma di vincitore del dibattito.

Rubio è apparso brillante, sicuro di sé, e ha rubato la scena al suo ex mentore Jeb Bush, replicando con durezza alla richiesta dell'ex governatore della Florida di dare le dimissioni dal Senato. Inoltre i suoi sondaggi sono in aumento, e l'establishment del partito, ma anche i grandi donatori Gop, guardano a lui con sempre maggiore attenzione considerandolo come la possibile alternativa a Jeb. Proprio il figlio e fratello degli ex presidenti George e George W. è considerato il grande perdente, che si è lasciato scappare l'ennesima occasione di risalire la china delle classifiche. Non è riuscito a sfruttare quella che dovrebbe essere una sua maggiore competenza in materia di economia, e secondo le statistiche, è stato quello che ha parlato meno. Hanno ottenuto la sufficienza invece il beniamino dei Tea Party, Ted Cruz, e il governatore del New Jersey, Chris Christie. Mentre l'ex amministratore delegato di Hewlett Packard Carly Fiorina, che poteva essere l'anti-Hillary, non ha mostrato la grinta della precedente performance televisiva. Fiorina si è scagliata proprio contro la Clinton, dicendo di essere il suo «peggiore incubo», e definendo «ipocrite» le politiche dell'ex first lady sulle donne. Un atteggiamento, il suo, che ha trovato d'accordo anche gli altri candidati repubblicani: tutti, infatti, si sono mostrati uniti su un obiettivo, quello di attaccare la rivale democratica. Tra i più duri, proprio il giovane Rubio, che ha definito l'ex Segretario di Stato «una bugiarda che viene protetta dai media». Hillary, però, guardando al caos che regna tra gli aspiranti alla nomination Gop, non può che sorridere. Lei il dibattito lo ha seguito da casa, commentando su Twitter i temi toccati dai candidati repubblicani, dall'immigrazione alle armi. E all'indomani, sempre sul sito di microblogging , ha gongolato: la performance di mercoledì sera «ha dimostrato chiaramente che non possiamo permetterci un repubblicano alla Casa Bianca». Quindi, lo staff della sua campagna elettorale ha calcato la mano, postando ironicamente un video con l'hashtag #GOPDebate che mostra la Clinton durante l'audizione di Bengasi, mentre con la mano si spolvera il bavero della giacca come per dire, «dei vostri attacchi me ne infischio».

Nel frattempo, l'ex first lady procede per la sua strada, prendendo le distanze dalla pena di morte: una posizione simile a quella del presidente Barack Obama, e in contrasto con i rivali alla nomination democratica Bernie Sanders e Michael O'Malley, entrambi allineati col fronte abolizionista. Lei, invece, è convinta che il boia non dovrebbe essere abolito, ma ritiene che la pena di morte sia uno strumento da usare in modo più giudizioso, «molto limitato», e soprattutto più giusto nei confronti delle minoranze.

di Valeria Robecco

da New York

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