Coronavirus

Vaccinazioni un anno dopo: la siringa è mezza piena. Ma Figliuolo rilancia ancora

Un anno e un giorno fa, il 27 dicembre 2020, era il V-Day. Il giorno della perdita dell'innocenza

Vaccinazioni un anno dopo: la siringa è mezza piena. Ma Figliuolo rilancia ancora

Un anno e un giorno fa, il 27 dicembre 2020, era il V-Day. Il giorno della perdita dell'innocenza. L'Italia sembrava schierata compatta all'ufficio reclutamento di una battaglia fatidica, combattuta a colpi di ago. Era il giorno dei primi vaccini, inoculati ai sanitari all'ospedale Spallanzani di Roma. Ci si indignava non per chi non intendeva farsi bucare il braccione, semmai su chi sgomitava per farlo. Il primo «furbetto del vaccino», come titolò Il Giornale il giorno dopo, fu il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, che si arrotolò la manica a favore di telecamera autoassegnandosi una delle prime dosi arrivate al Cotugno di Napoli. Peccati veniali, alla fine: a posteriori meglio la fretta che la fuga. I veri nemici, ora lo sappiamo, non sono quelli che hanno saltato la fila ma quelli che l'hub vaccinale non sanno nemmeno dove sia.

Un anno fa i giornali erano pieni di vademecum che ci spiegavano quali sieri sarebbero stati iniettati (allora c'erano solo Pfizer-BioNTech e Moderna, poi sarebbero arrivati Astrazeneca e Johnson&Johnson e si favoleggiava anche di Sanofi, CurVac e dell'italiana ReiThera) e quante dosi sarebbero state consegnate all'Italia: si diceva 202 milioni, nel primo anno ne abbiamo ricevute 112 milioni a ieri. Si facevano conti su quando si sarebbe raggiunta l'immunità di gregge, termine che ci aveva trasformato tutti in pecorelle e che ora si pronuncia come fosse una parolaccia. Contrariamente a quanto sostengono oggi i No Vax, non si diceva affatto che l'efficacia dei vaccini sarebbe durata un anno, ma si ipotizzavano sei-nove mesi, e non si dava per certo che avrebbero protetto anche dal contagio e non solo dai sintomi, visto che la sperimentazione era stata svolta soprattutto tra i sintomatici. Insomma, fin dal momento in cui ci incamminavamo sulla strada della salvezza collettiva, sapevamo che sarebbe stata impervia e non priva di insidie. Ma eravamo consapevoli che i rischi del fare qualcosa erano infinitamente minori di quelli dello star fermi.

E oggi? A un anno di distanza, mentre il Lazio annuncia che dal 30 dicembre si vaccinerà anche di notte, possiamo sostenere che quella vaccinale è stata finora una campagna di successo, che abbiamo dovuto combattere non soltanto contro il Sars-Cov2 e le sue mutazioni che ci hanno fatto riscoprire l'alfabeto greco ma anche contro il fuoco «amico» dei non-vaccinisti con le loro strampalate teorie e con l'opportunismo di chi fa l'immune con il braccio altrui, insultando per di più chi ha contribuito a salvarlo.

Figura chiave di quest'anno è stato Francesco Paolo Figliuolo, il generale sempre in divisa e mascherina, che fu messo a capo dell'esercito del Vax il 1° marzo, sostituendo il controverso Domenico Arcuri e trasformando una potenziale Caporetto in una linea del Piave. Oggi sono state somministrare 108.385.663 dosi, 47.947.263 italiani hanno ricevuto almeno una dose, l'88,77 per cento della popolazione over 12, 46.217.395 ne hanno incassate due e 17.193.238 hanno fatto tris. E Figliuolo rilancia con il suo piano anti-omicron: dal 10 gennaio booster soltanto quattro mesi dopo la seconda dose. «Darà un ulteriore impulso alla campagna; stiamo correndo per cercare di arginare la variante Omicron», dice Figliuolo, che si rammarica poi per «quei 5 milioni e 750 mila italiani che non hanno ancora avuto alcuna dose» che si allignano soprattutto nella fascia anagrafica tra i 30 e i 59 anni. Figliuolo augura «all'Italia un buon 2022 che ci faccia uscire da questa pandemia».

Buon compleanno vaccinale, generale.

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