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Vaccini, la svolta Lombardia. "Prima alle zone più colpite"

Moratti: priorità ai Comuni con focolai di varianti. Ditte, macchine e tempi: i nodi per produrre in Italia

Vaccini, la svolta Lombardia. "Prima alle zone più colpite"

Ci vaccineremo ogni anno, per chissà quanto tempo. Quindi, anche se la produzione di vaccini in Italia non è fattibile in tempi brevi, va impostata e organizzata. «Non lasciamo nulla di intentato» spiega il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi che ieri ha incontrato il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti per cominciare a studiare un piano di produzione italiana.

Si comincia con un elenco di aziende che potenzialmente potrebbero avere le caratteristiche per produrre i vaccini. Tra queste ci sarà la Catalent di Anagni: gli stabilimenti laziali dell'azienda già partecipano alla produzione delle dosi AstraZeneca. In particolare si occupano della formulazione finale (ovvero l'aggiunta degli eccipienti), dello riempimento dei flaconi e del confezionamento. E quindi bisognerà vedere se riusciranno a reggere il carico di un'ulteriore produzione. «Il processo di produzione di un vaccino non è semplice - spiega Scaccabarozzi, già impegnato da mesi in un monitoraggio delle possibili candidate - Ci vogliono dai 4 ai 6 mesi e per alcuni vaccini si arriva a un anno. Il vaccino è un prodotto biologico e non di origine chimica e necessita di controlli precisi».

Sono in corso le verifiche per vedere se in Italia ci sono macchine già pronte per la produzione, per capire quanto tempo serve per convertire quelle esistenti o anche per costruirne di nuove. Scaccabarozzi, che è anche presidente di Janssen Italia, ha spiegato che «il problema non è dove vengono prodotti i vaccini. Gli accordi internazionali prevedono che vangano distribuiti in maniera equa, a noi spetterà comunque quel 13,5% concordato, ma il guaio è che oggi tutti vogliamo i vaccini subito. Tuttavia bisogna dare tempo alle produzioni di organizzarsi». La buona notizia è che entro la fine di marzo sarà approvato il vaccino di Johnson&Johnson che quindi entrerà in produzione ad aprile. «Quando c'è di mezzo la salute non si guarda in faccia nessuno - commenta il leader leghista Matteo Salvini - Se si riescono a portare le aziende farmaceutiche a sostenere una produzione vaccinale italiana, non uso il termine sovranità, però non dover dipendere da altri mi lascerebbe tranquillo». Sicuramente, pur rispettando la quota stabilità in Europa, risparmieremmo tempo e intoppi sulla distribuzione. «Bisogna coinvolgere le aziende italiane con l'acquisto delle licenze dai produttori» sollecita il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, ben consapevole che l'Italia è sull'orlo della terza ondata.

«Siamo in una guerriglia e i vaccini sono le nostre pallottole» spiega Guido Bertolaso, consulente alla vaccinazione in Lombardia. Per questo la Lombardia adotta una sua strategia cercando di fermare sul nascere la nuova emergenza. «Andremo a vaccinare i territori più colpiti per fare in modo che i numeri dei ricoveri crollino o si abbassino e per ridurre la trasmissione: l'obiettivo è la riduzione del danno». Il nuovo piano vaccinale lombardo «non si riduce nessuna vaccinazione agli over 80, ci si concentra soprattutto sulle categorie professionali: questa è tutta una zona di altissimo significato industriale. Rivedremo anche quelle che sono le categorie da vaccinare in primis, fermo restando le priorità».

La Regione Lombardia ha anche chiesto l'autorizzazione per «prevedere o la somministrazione di una sola dose - spiega l'assessore lombardo al Welfare Letizia Moratti - o il posticipo di sei mesi per la sua somministrazione (ipotesi validata da dati di letteratura e da esperienze in corso in altri paesi)».

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