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Veleni, voci, assurdità. L'assalto sgangherato della sinistra a Meloni

Da "Repubblica" a "Domani" piove fango per riscrivere la storia della leader Fdi

Veleni, voci, assurdità. L'assalto sgangherato della sinistra a Meloni

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C'è la clamorosa scoperta di una società dove la mamma di Giorgia Meloni aveva nientemeno che lo 0,5 per cento. La rivelazione di un'altra società dove la mamma - sempre lei - aveva «una piccola quota», «coinvolta in scandali legali solo dopo l'allontanamento di Anna Paratore», che sarebbe per l'appunto la madre della premier, che quindi con gli «scandali legali» c'entra meno che niente: ma tutto fa brodo. C'è, ed è forse il passaggio più surreale di tutti, la spericolata riabilitazione di Francesco Meloni, il padre di Giorgia: un tipaccio sparito da decenni dalla vita della futura leader di Fratelli d'Italia, arrestato e condannato per un colossale carico di hashish. Che però, viene raccontato non come un narcotrafficante ma come una sfortunata vittima delle circostanze, un brav'uomo caduto in disgrazia, e «l'affare illecito sarebbe dovuto servire a ripianare i suoi debiti». Morale: Giorgia sarebbe un'ingrata che per ricostruirsi un immagine ha praticamente ripudiato il tenero papino che «morirà dopo una lunga e straziante malattia».

E via di questo passo.

Sono una lettura interessante, le inchieste che dapprima Domani e poi Repubblica, che pare ci lavorasse da mesi ma ha dovuto correre in edicola per non farsi bruciare del tutto dal concorrente, dedicano al lato oscuro di Giorgia Meloni. Un lavoro meticoloso, «costruito attraverso documenti e decine di testimonianze inedite» mirato a demolire la narrazione che la Meloni offre di sé: quella di un underdog, una sfavorita arrivata ai vertici dello Stato remando controcorrente. E che invece sarebbe una furbetta cresciuta nel lusso, con parentele vip e la mamma coinvolta in società oscure e affari inspiegabili e lucrosi.

Cosa aspettarsi d'altronde da una che - come denuncia ieri sempre Repubblica - osa presentarsi in bianco davanti al Papa, privilegio riservato «alla regina di Spagna, alle regine ed ex regine del Belgio, alla granduchessa di Lussemburgo e alla principessa di Monaco»? Da una che si spaccia per coatta per raccogliere voti e che invece, come rivela Susanna Turco in «Re Giorgia», è nientemeno che la nipote di Agenore Incrocci, il geniale sceneggiatore noto come Age?

Sottoporre i racconti che la Meloni fa di se stessa (a partire dalla sua autobiografia Io Giorgia) ad una verifica rigorosa era indubbiamente dovere della libera stampa. Entrambi i quotidiani hanno dedicato all'impresa i loro segugi migliori. Così fa una certa tenerezza che alla fine non sia saltato fuori neanche lo spunto per mezzo avviso di garanzia. E che alla fine non si capisca bene cosa si rimproveri alla Meloni, se di essere ricca fingendosi povera o di fingersi regina di Spagna venendo della Garbatella. Alcuni fatti, a dire il vero, ci sono. Ma riguardano tutti (compreso lo sceneggiatore Age) Francesco, il padre scomparso, narcotrafficante per necessità ma - si scopre ora - di famiglia «di sinistra e antifascista», e le sue figlie di primo letto Barbara e Simona. Sono Barbara e sua madre, Maria Grazia Marchello, a fare un affare da settemila metri quadri in via Collatina, a Roma. Ma anche questo viene messo sul conto di Giorgia.

Poi ci sono le società di Anna Paratore, la mamma di Giorgia, quella che l'ha allevata da sola dopo che Meloni, quello «di sinistra e antifascista», le aveva piantate in asso, e che per sbarcare il lunario dovette anche scrivere romanzi rosa. Società senza grandi affari, che nascono e muoiono, gelaterie che neanche aprono, tristi storie di bar all'Eur, e poi il mirabolante progetto del 9D, un grande centro commerciale che doveva sorgere tra le paludi di Ostia, che non è mai nato, e le cui quote sono finite in mano a una società in un paradiso fiscale: peccato che l'unico nome che compare sia quello della Marchello, la prima moglie di Meloni. Anche qui di Giorgia non c'è traccia.

Insomma: proprio un bel lavoro.

Reso ancora più gradevole dalla riscrittura che ne fa Repubblica, il trattamento che - come si racconta nei corridoi del quotidiano romano - si riserva a un'inchiesta in cui non si è cavato un ragno dal buco.

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