Politica estera

Verso la parità in Senato: la Georgia sarà decisiva. Pressing per fare slittare la candidatura di Trump

Tre Stati ancora in bilico. Dem avanti in Arizona e Repubblicani in Nevada: il ballottaggio di dicembre può portare al 50-50. Pure Murdoch scarica Donald: "Un perdente, meglio DeSantis"

Verso la parità in Senato: la Georgia sarà decisiva. Pressing per fare slittare la candidatura di Trump

New York. Arizona, Nevada, Georgia. È su questa triangolazione che si giocano le geometrie dei futuri assetti politici americani dopo il voto di Midterm. Da questi tre stati si attende infatti il verdetto delle urne in merito alla composizione del Senato: mano a mano che procede lo spoglio delle schede, sembra consolidarsi la tendenza che l'Arizona vada ai democratici (dove l'ex astronauta Mark Kelly è in vantaggio per 5 punti percentuali sul senatore uscente Blake Masters) e il Nevada ai repubblicani (Adam Laxalt è avanti con il +1,8% sulla dem Catherine Cortez Masto). Uno scenario che porterebbe il totale dei seggi 50 a 49 per il Grand Old Party, e renderebbe il ballottaggio in Georgia del 6 dicembre decisivo.

Proprio in vista della gara all'ultimo voto tra il democratico Raphael Warnock e il repubblicano ex star del football Herschel Walker, aumenta il pressing del Gop affinché Donald Trump posticipi l'annuncio della candidatura per il 2024, che dovrebbe ufficializzare il 15 novembre a Mar-a-Lago. Il consiglio al tycoon arriva anche dalla sua ex portavoce Kayleigh McEnany, secondo cui con la performance dei repubblicani peggiore delle attese e le critiche dei conservatori a Trump per aver scelto «terribili» candidati, McEnany è convinta che sia meglio lasciare che il partito si concentri sul ballottaggio della Georgia. Anche perché, oltre a essere considerato il principale responsabile del fiasco repubblicano alle elezioni di metà mandato, The Donald è stato scaricato dall'impero di Rupert Murdoch dopo anni di sostegno: il Wall Street Journal e il New York Post lo criticano duramente, definendolo un «perdente» e una figura «tossica». E pure Fox, per anni megafono dell'ex presidente, gli gira le spalle: «È il passato», il partito deve guardare avanti e scommettere su Ron DeSantis come «nuovo leader».

Ad aprire la crepa nei rapporti tra Murdoch, conservatore per eccellenza, e il clan Trump, sono state le elezioni del 2020, e poi il successivo assalto a Capitol Hill del 6 gennaio, fino al voto di martedì.

Sul fronte democratico, invece, Biden ha ribadito che la sua «intenzione è di correre di nuovo» nel 2024. «È sempre stata la nostra intenzione a prescindere dal risultato di queste elezioni», ha detto ai giornalisti. Il fatto che il Midterm sia andato meglio delle previsioni, però, potrebbe non bastare a spazzare via i dubbi di molti democratici su una sua ricandidatura a causa dell'età avanzata. Prima del voto la maggioranza dei liberal nei sondaggi si era espressa a favore della scelta di un altro candidato, e non è chiaro «se i risultati degli ultimi giorni siano in grado di cambiare» il trend, afferma il New York Times con un editoriale di Frank Bruni. Tra i papabili sostituti, continua, la «maggiore attenzione» dovrebbe andare alla vice presidente Kamala Harris, al segretario ai Trasporti Pete Buttigieg e alla governatrice del Michigan Gretchen Whitmer. Per quanto riguarda la Camera, invece, al Gop per ora sono andati 209 seggi e deve arrivare a 218 per ottenere la maggioranza: Nbc News conferma la proiezione di 222 deputati ai repubblicani.

E se i dem alla fine perdono, la colpa potrebbe essere di New York. In una delle roccaforti dell'Asinello - spiega il Nyt - i repubblicani hanno ribaltato quattro seggi al Congresso, più che in qualsiasi altro stato del paese, trasformando una delle enclavi più liberal degli Usa nel maggiore ostacolo del partito democratico.

Catalizzando l'angoscia per la criminalità e l'aumento dell'inflazione, i candidati repubblicani si sono fatti strada nei sobborghi di Long Island, nell'Hudson Valley e persino in zone di Brooklyn e del Queens dove Biden aveva vinto facilmente.

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