
Dici Budapest e dici Viktor Orbán. Inevitabile. Non si scappa. E attorno a questo personaggio tanto ingombrante quanto ambiguo si apre un mondo solo parzialmente emerso. Sembra un despota ma non lo è. Vuol sembrare un governante illuminato ma non ci riesce. È sempre in bilico tra l'essere una legittima voce contraria al coro e la spina nel fianco dell'Europa. Ma proprio per questo diventa quasi naturalmente un asset. Che per la sua mai nascosta vicinanza a Putin può, alla fine, addirittura essere utile. Ma chiaramente il percorso perché tutto si concluda positivamente, o almeno si possa sperare che accada, è tutto in salita.
Il leader ungherese ha già da tempo iniziato a tessere una tela che lo porterebbe a un'insperata legittimazione internazionale. Il vertice Trump-Putin a casa sua è un'occasione gigante per lui e, chissà, anche per uno spiraglio decisivo per chiudere il conflitto. "Budapest è l'unica sede in Europa adatta per un vertice di pace tra Stati Uniti e Russia", ha detto Orbán aggiungendo che il suo Paese è in grado di offrire un "contesto affidabile, sicuro e politicamente stabile. Non c'era altra scelta. In poche parole: possono contare su di noi!", ha detto prima di telefonare a Putin. Non solo. Il leader ungherese ha lanciato l'ennesima stilettata a quell'Europa che non manca di accusare un giorno sì e l'altro pure. "L'Ungheria è di fatto l'unico Paese che sostiene la pace se si guarda la mappa politica dell'Europa", ha detto. Lui che si è sempre messo di traverso ai 27 per quanto riguardo il sostegno e l'appoggio economico e militare a Kiev. E ora, in qualche modo, passa all'incasso del debito d'onore non scritto con Putin. Mentre il suo ministero degli Esteri è stato costretto a chiarire che l'Ungheria garantirà allo Zar di poter entrare nel Paese senza problemi. "Siamo pronti a creare le condizioni appropriate affinché i presidenti americano e russo possano tenere colloqui in condizioni di sicurezza e pace", si legge in una nota.
Già perché il primo ostacolo non è propriamente il più basso. In base alla sentenza della Corte Penale internazionale per cui Vladimir Putin è stato ritenuto colpevole di crimini di guerra, non appena lo Zar mettesse piede su suolo europeo dovrebbe scattare immediatamente l'arresto. "È un obbligo giuridico e una responsabilità", spiega la Cpi. "L'Ue sostiene la Corte penale internazionale e i principi sanciti dallo Statuto di Roma. Rispettiamo l'indipendenza e l'imparzialità della Corte. Siamo fermamente impegnati a favore della giustizia penale internazionale e della lotta contro l'impunità", aggiunge un portavoce di Bruxelles. Inoltre, per volare da Mosca a Budapest, il presidente russo dovrebbe sorvolare diversi Paesi europei, fatto impossibile sulla base della stessa sentenza a meno di una deroga ufficiale. Il governo ungherese ha già fatto sapere che breve uscirà dalla Cpi anche per evitare ogni problema ma il tema del sorvolo dello spazio aereo europeo rimane interamente in piedi. Servirà dunque una sorta di salvacondotto per Putin, finalizzato allo svolgimento di un summit che non è solo un semplice faccia a faccia. Tanto da costringere diversi Paesi a storcere sì il naso ma anche a dire che "ogni sforzo per una pace giusta è ben accetto". Come dire: basta che funzioni.
Ad appoggiare l'iniziativa ungherese senza e senza ma sono ovviamente la Slovacchia di Fico e la Serbia di Vucic, anche loro quanto di più vicino a Putin si possa trovare nel Vecchio Continente. E, ovviamente, trova l'apprezzamento convinto di Mosca. "L'Ungheria, Paese membro della Nato e dell'Ue, mantiene una posizione speciale riguardo alla propria sovranità, dal punto di vista della difesa dei propri interessi nazionali. Questo indubbiamente ispira il rispetto di entrambi i leader", ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov.
La logistica del viaggio del presidente russo in Ungheria però rimane un punto interrogativo. "La situazione non è chiara", ha ammesso Peskov. Situazione non chiara. Per una volta, dal Cremlino, parole di verità indiscutibili.