Tra veti e furbate la politica blocca il rigassificatore che salverà l'Italia

L'impianto di Piombino è ritenuto essenziale per emanciparsi dal metano russo. Ma il Pd prende tempo per non scontentare i comunisti e il sindaco Fdi non lo vuole nella sua città

Tra veti e furbate la politica blocca il rigassificatore che salverà l'Italia

No, non è una prerogativa solo italiana. Anche a Wilhelmshaven, in Germania, la decisione di costruire un rigassificatore ha fatto sbocciare i sempreverdi comitati del «no». La particolarità italiana, semmai, sta tutta nella schizofrenia della politica nostrana. Che da un lato promette agli elettori di emanciparsi dal gas russo, assicura di voler salvare le aziende e abbassare il costo dell'energia; e poi dall'altro fiancheggia «sul territorio» gli oppositori alle grandi opere che quell'indipendenza energetica dovrebbero garantirla. Era già successo con il Tap e si sta ripetendo a Piombino con la Golar Tundra, la nave da 5 miliardi di metri cubi all'anno di rigassificazione definita da Draghi «questione di sicurezza nazionale». Vitale, eppure motivo d'imbarazzo politico. La faccenda non è nuova. Va avanti dal mese di marzo e serpeggia lungo tutto l'arco costituzionale. Se oggi se ne parla lo si deve ad Ignazio La Russa, reo di aver palesato le contraddizioni di Fdi: «Meloni è d'accordo con me - ha precisato il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari - Siamo favorevoli in linea di massima ai rigassificatori, ma non qui». Che poi è un po' come volere la botte piena e la moglie ubriaca. Non che gli altri non siano affetti dalla sindrome Nimby. Il governatore della Toscana, Eugenio Giani, che è pure commissario straordinario all'opera, all'inizio candidò con entusiasmo la città al progetto ma poi ha dovuto innestare diverse retromarce per contenere l'ira delle sezioni locali Pd. Del M5S neanche a parlarne, visto che pur di contrastare la nave è arrivato ad evocare la possibilità che Putin la faccia saltare con un missile. E nemmeno l'opposizione di Verdi e Sinistra Italiana dovrebbe stupire. Fa specie, piuttosto, che il dem Andrea Romano, forse per ingraziarsi Fratoianni, chieda di reintrodurre la Valutazione d'Impatto Ambientale (Via) nonostante il Pd abbia votato a Roma il decreto Aiuti che spianava la strada alla procedura accelerata in 120 giorni. E sorprende pure che anche la Lega traballi tra le certezze di Giorgetti («non si può dire di no») e i dubbi dei consiglieri regionali («ci sono rischi per l'ambiente»). Oppure che Massimo Mallegni, coordinatore di Forza Italia in Toscana, dica «sì al rigassificatore, ma su Piombino ne dobbiamo discutere». Sì, ma, però. Che poi sull'impianto che dovrebbe coprire il 6,5% della domanda nazionale di gas liquefatto (Gnl) aleggiano non poche leggende. Snam assieme al progetto ha depositato decine di pagine di relazioni tecniche e ambientali. Gli esperti sono sicuri: il processo che riscalda e riporta allo stato gassoso il Gnl non raffredda il mare, non mette in pericolo l'itticoltura e non impatta sulle attività del porto. Il rischio, piuttosto, è di trovarsi in autunno con bollette stratosferiche. La strategia di Draghi e Cingolani per emanciparsi dal gas di Putin si basa infatti sulla diversificazione, in cui il Gnl ha un peso non indifferente. «Se non si sbloccano i lavori - spiegava ieri al Giornale Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli - il gas di quelle navi rimarrà inutilizzato». E allora dovremo «riempire un buco pari al 36% della programmazione». Tradotto: il Gnl serve, e serve subito. La verità, infatti, è che di alternative «tecniche» a Piombino forse ce ne sarebbero, ma non esistono opzioni altrettanto «rapide».

La città è stata scelta perché il porto garantisce la giusta profondità di pescaggio e perché dista solo 8 km dalla più vicina rete di metanodotti. I partiti lo sanno, ma fingono di non capire. E preferiscono la schizofrenica altalena di posizioni tra «nazionale» e «locale» alla serietà che richiederebbe l'emergenza gas.

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