Veto Fdi al governissimo. E il leader leghista apre la partita per il Quirinale

Meloni gelida con Salvini. Il silenzio di Forza Italia: ora è meglio pensare alla manovra

Veto Fdi al governissimo. E il leader leghista apre la partita per il Quirinale

Più che sfibrare la maggioranza, l'attuale stallo politico ha già prodotto una frattura nel fronte sovranista. Da giorni Matteo Salvini le prova tutte per ritagliarsi un ruolo da protagonista nello scenario di una eventuale crisi di governo. Finora, però, ogni mossa azzardata non ha avuto da Giorgia Meloni il benché minimo placet. Il leader della Lega aveva parlato di un possibile governo di transizione, magari con tutti dentro, per portare al più presto il Paese a nuove elezioni. La scarsa solidità della posizione di Conte, però, non è argomento sufficiente per la sua alleata che ha ribadito: «Mai con Pd e Cinquestelle». Tanto che ieri, da Catania, il laeder leghista ha precisato che «l'unico governo che può traghettare il Paese al voto è un governo di persone serie e competenti, un esecutivo di centrodestra, dentro cui magari portare chi nel Parlamento si è rotto le scatole dell'attuale compagine a guida Conte».

Salvini ha provato a ritagliarsi anche un ruolo nuovo nel rapporto di odio/amore ormai frusto con il premier. Lo hanno visto avvicinarsi allo scranno del capo del governo durante la discussione sul Mes. A Conte ha chiesto un incontro. E la ragione è presto detta: la gestione dei miliardi del Recovery Fund non può essere portata avanti senza l'opposizione. Insomma il capo leghista si muove a tutto campo per ritagliarsi un ruolo più dinamico da leader della coalizione antagonista al governo.

La Meloni, però, lo ha già stoppato sul fronte del «governissimo». Con gli azzurri, a partire dallo stesso Berlusconi, che evitano di commentare, visto che hanno per primi dato il là a una fruttifera collaborazione a distanza («per il bene del Paese e non certo del governo») e non vogliono superare quel sottile confine che divide il senso di responsabilità da un abbraccio mortale con Renzi e Zingaretti.

Al leader del Carroccio non resta che spostare il dibattito sul futuro del Quirinale. Un discorso che non piace alla Meloni, per la quale l'unica urgenza è la crisi economico-sanitaria. E non piace nemmeno a Berlusconi che ha da tempo smorzato ogni dibattito sul tema dicendo che è «irrispettoso nei confronti del prezioso lavoro che sta svolgendo Mattarella».

Vero è che Forza Italia da tempo ha iniziato un dialogo a distanza con Pd e Italia viva proprio per discutere del futuro inquilino del Colle quirinalizio. Ed è su questa scia che ora cerca di muoversi Salvini che intanto compatta e allarga la coalizione portando dentro i vertici anche gli alleati minori, da Toti a Quagliarello da Lupi a Cesa.

L'idea è quella di puntare su obiettivi adesso realizzabili come una manovra che tenga conto dei desiderata del centrodestra per l'utilizzo dei fondi del Recovery plan. L'ambizione malcelata del capo leghista è però un velato ma fermo controllo delle truppe parlamentari proprio in vista dell'elezione del prossimo capo dello Stato. Elezioni che, salvo terremoti politici che al momento nessuno esclude ma che nessuno vede così probabili, verrà effettuata da questo parlamento. Proprio in previsione del voto a inizio del 2022, la diplomazia leghista ha intensificato i contatti con i piccoli partiti della coalizione. A iniziare proprio dal governatore della Liguria, Giovanni Toti, che dovrebbe a inizio anno presentare il primo congresso della sua creatura politica. Secondo voci ricorrenti, in quell'occasione potrebbe presentare come nuovi compagni di strada un piccolo drappello di azzurri.

E la sintesi di questa strategia è tutta nel monito lanciato da Catania

dallo stesso Salvini. «Il prossimo dovrà essere il presidente di tutti. Quindi mi spiace che qualcuno in casa del Pd o in casa di Renzi parli del Quirinale come affare di partito. Senza di noi non si va da nessuna parte».

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