Viaggio tra corpi smembrati di una guerra senza vincitori

In Siria grazie all'alleato russo le sorti del conflitto sono state ribaltate Ma i ribelli resistono strenuamente. E il sangue continua a scorrere

Viaggio tra corpi smembrati di una guerra senza vincitori

«La tregua? Qui non vale». Il soldato Alì te lo spiega con un sorriso, poi ti trascina davanti ad un muro crivellato di colpi dove i pochi resti d'intonaco sono un mosaico di graffiti in arabo. «Vedi cosa c'è scritto qui? C'è scritto Jabat Al Nusra...l'hanno lasciata loro, quelli di Al Qaida...quindi per noi la guerra non è finita. Finirà solo quando li avremo ributtati oltre il confine da dove sono arrivati».

Il confine di cui parla Alì non è lontano. Da qui ai primi contrafforti del monte Aqqrah, porta d'accesso del territorio turco, ci saranno una trentina di chilometri. In questa zona quei trenta chilometri sono tutto quel che separa l'esercito siriano e il suo alleato russo dalla vittoria finale. Una vittoria insperata fino allo scorso autunno quando i ribelli, dominatori incontrastati di queste montagne dal 2012 minacciavano persino le alture intorno a Latakya conosciute come la roccaforte degli alawiti e la terra natale della famiglia del presidente Bashar Assad. A spazzar via quell'incubo ci han pensato le bombe di Vladimir Putin. Ed ora dalla cittadina di Selma, una decina di chilometri più a sud, fin qui a Khansaba, punta estrema dell'avanzata dell'esercito di Bashar Assad, si snoda il tracciato della rivincita governativa. Una rivincita che in soli due mesi fa ha cancellato le certezze di Al Nusra e dei gruppi jihadisti convinti di poter mantenere l'assoluto controllo del territorio. «Qui Jabat Al Nusra faceva il bello e cattivo tempo - spiega il generale Wafiq incaricato dal comando di Lataqya di scortarci sulla prima linea di queste montagne -. Quattro anni fa occuparono i villaggi di sorpresa sgozzando chiunque tentava d'opporsi. Poi han resistito grazie ai rifornimenti di armi e munizioni garantiti dalla Turchia. La linea da qui a Khansaba era la spina dorsale dei gruppi jihadisti. Qui pianificavano i loro attacchi e qui vivevano i loro capi.

Ma ora abbiamo ribaltato la situazione». Per capire cosa intenda il generale basta risalire la collina ed inoltrarsi tra le macerie delle palazzine dove i miliziani alqaidisti avevano installato le proprie postazioni. Tra la distesa di rovine circondate da boschi di conifere regna l'alito nauseabondo della guerra. I corpi smembrati e carbonizzati di alcuni ribelli sono ancora sepolti nel sottoscala di un palazzo sventrato dai colpi dell'artiglieria siriana e dell'aviazione russa. Avevano cercato scampo nelle cantine, ma l'esplosione li ha inceneriti. Poi l'edificio è crollato sopra le loro teste seppellendoli sotto una marea cemento. Un unico sopravvissuto ha tentato di fuggire divorando il sentiero disegnato tra gli alberi, ma un'altra vampata l'ha incenerito sul crinale. A sei giorni dagli ultimi combattimento, è ancora lì, il busto rattrappito, le gambe mutilate, le mani alzate al cielo. Attorno a quelle carni divorate dal fuoco e dalle schegge s'è riunito un gruppo soldati siriani. Qualcuno fotografa, qualcun'altro osserva in silenzio i resti di quel miliziano di Jabat Al Nusra ultimo simbolo, oltre a scritte e graffiti della presenza alqaidista. «In questa zona Jabat Al Nusra era egemone, tutti gli altri gruppi prendevano ordini o collaboravano con loro. Sul nuovo fronte, quello che passa a due chilometri da qui, oltre le alture di Jibal Al Rous il coordinamento è ancora nelle loro mani. E visto che gli accordi sul cessate il fuoco non comprendono nè Al Nusra, nè lo Stato Islamico noi continueremo a combattere», spiega il general Wafiq del comando di Latakya. Tra un passo e l'altro in quest'universo devastato dalla guerra il generale siriano non ha problemi ad ammettere il ruolo fondamentale giocato dai piloti russi, veri artefici delle operazioni che hanno sgretolato e travolto le fortificazioni ribelli. «Avanzare tra montagne come queste senza la precisione dei loro sistemi di puntamento e senza la potenza delle loro bombe sarebbe stato semplicemente un suicidio. Ora però il lavoro sul terreno lo stiamo facendo noi. Giorno dopo giorno tagliamo tutte le loro linee di rifornimento. Fra poco Jabat Al Nusra, non avrà più alternative potrà solo arrendersi o scappare in Turchia. E questa non sarà solo una vittoria per noi o per i nostri amici russi, ma anche per voi europei.

Voi continuate a far finta di non capirlo, ma combattendo Jabat Al Nusra e lo Stato Islamico noi siriani non difendiamo solo Damasco, ma anche le vostre capitali. Se il terrorismo non arriverà a Parigi, Londra e Roma dovrete anche ringraziare noi».

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