Viaggio social della mandria. La transumanza è da record

In cinque giorni 300 mucche hanno percorso 180 chilometri, con 200mila visualizzazioni su Facebook

Viaggio social della mandria. La transumanza è da record

Ci sono poche cose di più arcaiche di una mandria di bovini che attraversa sentieri di campagna in alcuni degli angoli più remoti dell'Italia. Eppure anche la transumanza può diventare uno show social.

Accade tutti gli anni a fine maggio, quando la famiglia Colantuono riporta i suoi trecento capi bovini dai pascoli di pianura del Gargano - dove affrontano l'inverno - fino a quelli di alta quota di Frosolone, in Molise - dove trascorrono i mesi più caldi. Una pratica antica, diffusa secoli e decenni fa in tutte le regioni italiane e anche in Francia, in Austria, in Grecia, in Spagna; il suo scopo è quello di garantire alle greggi o alle mandrie erba rigogliosa sia d'inverno (quando i pascoli di alta quota sono ricoperti dalla neve) sia d'estate (quando i pascoli di pianura sono rinsecchiti dal sole). Ma ormai resa quasi del tutto inutile dal diffondersi della pastorizia stanziale: il bestiame imborghesisce nelle stalle e viene nutrito con mangime industriale, la mungitura fatta automaticamente. Quei pochi che ancora fanno il trasloco degli animali ricorrono ai furgoni che si muovono lungo statali e autostrade. Altro che poesia. Altro che «settembre andiamo, è tempo di migrare».

In questi casi o si soccombe al mutare dei tempi o si decide di cavalcarli. E i Colantuono, storica famiglia di mandriani molisani, hanno trasformato la transumanza in uno spettacolo itinerante che ogni anno affascina decine di migliaia di persone. Che seguono il viaggio di bovini e umani lungo i tratturi di Puglia e Molise affiancando per tratti più o meno lunghi i «transumatori», partecipando alle feste nei vari paesi attraversati dalla bianca teoria oppure seguendo su facebook l'impresa: nei giorni scorsi i video postati sulla pagina ufficiale dell'evento («Transumanza e altre meraviglie dal Molise») hanno avuto oltre 200mila visualizzazioni.

Quattro giorni, centottanta chilometri percorsi con passo «slow» lungo quelle che per secoli sono state le «autostrade verdi» di pastori, contadini, mercanti e pellegrini, con tanto di chiese e «stazioni di servizio», trecento mucche di razza podolica, marchigiana e maremmana, un circo dal fascino severo che è stato accolto, a Santa Croce di Magliano, da duecento persone ripagate da un banchetto a base di caciocavalli e bistecche consumato davanti ai fuochi. La carovana ha attraversato passi, cittadine, ponti, binari ferroviari. Ha anche camminato sul cantiere di una superstrada in costruzione proprio sul tracciato di un tratturo a San Paolo di Civitate, dimostrazione che la transumanza non si lascia spaventare dalla modernità ma anzi la sfida.

La passerella finale martedì scorso a Frosolone, cittadina a quasi mille metri di quota. Qui Carmelina Colantuono, la cow girl che anima questa tradizione ha parlato come una star: «Siamo fieri. Ringrazio coloro che ci danno coraggio. La transumanza non deve morire e per questo abbiamo bisogno di avere le istituzioni dalla nostra parte».

La partita è la sopravvivenza di una pratica che può diventare il simbolo non solo di un allevamento sostenibile ma anche di un turismo lento e consapevole, di uno stile di vita che non dimentica il passato. La transumanza è quasi chic. E perfino l'Unesco potrebbe presto essere costretta ad accorgerne.

Un paio di mesi fa Italia, Grecia e Austria hanno depositato a Parigi la richiesta per candidare questa pratica come patrimonio immateriale dell'umanità, al pari della dieta mediterranea e dell'opera dei pupi siciliani.

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