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"Una vignetta schifosa". Scatta la solidarietà alla famiglia della Meloni. La premier: "Su mia sorella indegne allusioni sessiste"

L'attacco del "Fatto" a Lollobrigida e alla moglie Arianna che replica: "Dietro le vostre cattiverie ci sono persone"

"Una vignetta schifosa". Scatta la solidarietà alla famiglia della Meloni. La premier: "Su mia sorella indegne allusioni sessiste"

Il Fatto se la ride in prima pagina, il Palazzo va in fibrillazione. La vignetta uscita dalla matita di Natangelo mostra Arianna Meloni, sorella della premier e moglie del ministro Francesco Lollobrigida, a letto con un uomo di colore. Insomma, la sostituzione etnica di cui si parla nella didascalia, schiaffeggiata con crudezza ai piani alti del governo. Lei, Arianna, esprime la sua sofferenza con una domanda: «Lo sanno queste persone che dietro alle loro cattiverie esistono persone? Lo sanno, ma per loro attaccare vale anche la destabilizzazione».

Poi è un diluvio di reazioni e sentimenti a fior di pelle.

Il presidente del Senato Ignazio La Russa condensa il suo disgusto in una parola: «Immondizia». Lo stesso vocabolo, «spazzatura», impugnato da Licia Ronzulli di Forza Italia. Giorgia Meloni, toccata invece sul vivo degli affetti familiari, risponde per le rime: «Quella ritratta nella vignetta è Arianna. Una persona che non ricopre incarichi pubblici, colpevole su tutto di essere mia sorella. Sbattuta in prima pagina con allusioni indegne, in sprezzo di qualsiasi rispetto verso una donna, una madre, una persona la cui vita viene usata e stracciata solo: per attaccare un governo considerato nemico».

Non solo. Meloni si guarda intorno e si accorge che la solidarietà arriva dai parlamentari di Fratelli d'Italia e del centrodestra, anche se scarseggia alle latitudini della Lega, e poi dal Terzo Polo o ciò che ne resta, ma diventa silenzio intermittente in casa Pd e assoluto fra i 5 Stelle. Anche se due donne autorevoli di del Nazareno come Pina Picierno e Debora Serracchiani fanno sentire la loro vicinanza ad Arianna Meloni. E allora il capo del governo si indigna di nuovo: «Il silenzio assordante su una cosa del genere da parte di quelli che dalla mattina alla sera pretendono di farci la morale, dimostra plasticamente la malafede dalla quale siamo circondati. Ma se qualcuno - è la virata finale - pensa di fermarci così, sbaglia di grosso. Più sono circondata da questa ferocia, più sono convinta di dover far bene il mio lavoro».

Marco Travaglio, direttore della testata nella bufera, non chiede scusa e non arretra. Semmai butta via la palla: «Non posso passare il mio tempo a spiegare le battute a chi non le capisce». Ma molti ritengono di aver compreso benissimo la provocazione di Natangelo. «La vignetta del Fatto fa schifo - sintetizza senza tanti giri di parole il senatore di FdI Giampietro Maffoni - e come al solito da sinistra non si levano voci, soprattutto dal mondo femminista, a difesa di una donna vittima di un così volgare attacco».

Un altro senatore meloniano, Ignazio Zullo, si augura che «l'ordine dei giornalisti prenda al più presto provvedimenti disciplinari per sanzionare l'autore di questo atto». Pure il presidente dell'associazione Stampa Romana Paolo Tripaldi, dunque un leader sindacale del quarto potere, si schiera contro il Fatto: «Il diritto di satira garantito dalla Costituzione non può essere lo strumento per offese gratuite. Coinvolgere la moglie di un ministro con battute sessiste lede i principi deontologici ai quali la nostra professione deve sempre far riferimento».

Una visione che fa a pugni con il tweet del Fatto che fa balenare lo spettro del bavaglio: «Ancora una volta la satira viene aggredita dal potere. Vi pare possibile? Il Fatto è per la libertà di espressione e anche per la libertà di ridere in santa pace».

Vauro, celebre disegnatore, si spinge ancora più in là: «Ho mandato un messaggio di complimenti a Natangelo. La sua vignetta è azzeccatissima».

È l'eterno duello sui confini della libertà o su una libertà senza confini che calpesta allegramente la dignità.

Ma questa storia è anche un termometro dei rapporti in Parlamento. Si deve penare un po' per leggere l'indignazione di qualche generale della Lega, partito appena ridimensionato se non sconfitto nella tornata delle nomine; il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio però va giù duro: «La vignetta è sessista, vergognosa e indegna». Più o meno le stesse parole di Debora Serracchiani: «Sessista e offensiva. Ecco cosa è la vignetta del Fatto». Altrettanto tranchant Pina Picierno: «Non si può rimanere in silenzio di fronte a questa feroce oscenità».

Infine, anche la coppia che non c'è più si unisce per un giorno, deplorando la prima pagina del misfatto. «La vignetta fa schifo. Né più né meno», afferma Carlo Calenda. «Il Fatto ha come marchio di fabbrica l'aggressione e oggi aggredisce Arianna Meloni», rincara la dose Matteo Renzi.

Giuseppe Conte invece non tradisce la storia grillina e il suo compiacimento per la gogna: «La satira può essere di buon gusto o cattivo gusto, rimane satira».

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