Violentò e uccise un'amica Incastrato dopo trent'anni

Lidia Macchi, studentessa, fu massacrata con 29 coltellate. A tradire il killer una lettera anonima spedita ai familiari di lei: la calligrafia riconosciuta in tv

Cristina BassiLa sera del 5 gennaio 1987 Giorgio e Paola Macchi hanno aspettato a lungo la figlia Lidia, 20 anni: aveva promesso che sarebbe tornata per cena. E hanno aspettato altri 29 anni, fino a ieri, l'arresto di Stefano Binda, 48enne, che per gli inquirenti ha stuprato e ucciso la ragazza con 29 coltellate. Il cold case del bosco di Cittiglio, non lontano da Varese, è a una svolta decisiva. Dopo quasi trent'anni è finito in manette un ex compagno di liceo di Lidia. I due erano amici, facevano parte del gruppo locale dei giovani di Comunione e liberazione. I genitori della studentessa non si sono mai dati pace. «Sono trent'anni che aspettiamo - dice la mamma Paola - finalmente si fa luce sull'omicidio. La Procura di Milano ha lavorato in silenzio ma ha lavorato sodo». Il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda aveva avocato le indagini pendenti alla Procura di Varese nel 2013. «Siamo stupiti - aggiunge il legale della famiglia Daniele Pizzi -, speriamo che questo serva per far emergere la verità». Binda, laureato in Filosofia, disoccupato, era stato sentito subito dopo l'omicidio. Come tutti gli amici della vittima. Ma non era mai stato sospettato (per la vicenda è stato indagato e poi prosciolto Giuseppe Piccolomo, il «killer delle mani mozzate»). La chiave del mistero è in una lettera anonima. Il giorno del funerale di Lidia la famiglia aveva ricevuto una poesia dal titolo In morte di un'amica. I genitori rimasero turbati, proprio perché descriveva la stupro e la morte violenta della giovane, con dettagli che non erano stati resi noti. Da subito fu chiaro che l'autore dello scritto e l'assassino erano la stessa persona. Buio fino al maggio 2014.Finché un'amica di Lidia vede la trasmissione Quarto grado che tratta dell'omicidio. Le vengono in mente alcuni particolari, va alla polizia. Ha visto su un quotidiano la foto della lettera e riconosce la grafia del comune amico di gioventù Stefano. Una perizia stabilirà che la missiva anonima e le cartoline che Stefano aveva spedito all'amica della vittima sono state scritte dalla stessa mano. Binda viene indagato nell'agosto 2015, è accusato di omicidio pluriaggravato. Secondo la ricostruzione della Squadra mobile di Varese riportata nell'ordinanza con cui il gip Anna Giorgetti ha disposto la custodia cautelare su richiesta del pg milanese, i due ragazzi si incontrano lunedì 5 gennaio di 29 anni fa nel parcheggio dell'ospedale di Cittiglio, dove Lidia era andata a trovare un'amica. Si allontanano con la Panda verde di lei, verso il bosco di Sass Pinin. Lui lo conosce bene, perché ha fatto uso di eroina e proprio in quel boschetto si ritrovano i tossicodipendenti della zona. Il giovane costringe l'amica a un rapporto sessuale, poi, preso dal panico perché teme che lei lo racconti e perché a causa sua ha tradito «il proprio ossessivo e delirante credo religioso», la accoltella. Al collo, al torace, alla schiena. Lidia è «l'agnello sacrificale» della poesia-confessione. Il corpo rimane sulla strada, coperto da un cartone, dove lo troveranno i gruppi di ricerca di Cl. Sempre nel 2015 la polizia sequestra le agende Smemoranda degli anni Ottanta di Binda. Le pagine dei giorni del delitto sono strappate. Su un'altra lui ha scritto: «Stefano è un barbaro assassino». C'è anche un quaderno a fogli mobili. Un consulente della Procura stabilirà: «Con altissima verosimiglianza pressoché coincidente con la certezza, il foglio sul quale veniva scritto il componimento in versi proviene dal quaderno sequestrato». Non ci sono - allo stato - riscontri di Dna.

Nell'ottobre 2000 il gip di Varese ha fatto distruggere i vestiti della vittima e i vetrini con lo sperma raccolto durante l'autopsia. L'indagato ripete che il 5 e 6 gennaio 1987 era in vacanza in montagna. Ma per il gip, il testimone che ha conferma l'alibi non è credibile.

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