Milano «Io non sono uno da x-box, lo sai, le facevo in giro le cose, sulla play mi annoiano». «E vabé sulla x-box è come nella realtà: quello lì tu rubi, fai le rapine, rubi le macchine». «Eeeh vabé che farlo sulla play, oooh, mi vien voglia di prendere, uscire e farle...Capito?».
Sei ragazzi tra i 19 e i 25 anni: quattro italiani, un dominicano e un peruviano, accomunati «dalla bassa scolarità, dal disinteresse per tutto, se non per quello di commettere reati ed essere violenti» come ha sottolineato il procuratore capo di Monza Luisa Zanetti. Tipi che, una volta insieme, si trasformavano in un mix deflagrante di gioventù scalmanata. Non paga di sfogare la propria aggressività sulla playstation o sulla x-box, ma sempre più desiderosa di trasferire nella realtà, per diventarne protagonista in carne e ossa, la fantasia virtuale del «Gta», acronino di Grand theft auto (letteralmente: maxi furto d'auto) una serie di videogiochi per pc, smartphone e tablet nata negli anni Novanta negli Stati Uniti e venduta in oltre 200 milioni di copie. I protagonisti di questa serie, partendo dal furto d'auto, devono gestire una gang e contendersi la città con missioni violente contro le bande rivali. Un passatempo purtroppo seguitissimo da molti adolescenti, nonostante sia vietato ai minori di 18 anni e che tra intrattenimenti «pilota» e varie evoluzioni, proprio per i contenuti particolarmente violenti e spesso estremi, ha raggiunto nel tempo un incredibile successo.
La banda, nota a Monza come «la compagnia del Ponte» o «la compagnia del Centro», è stata arrestata con l'accusa di tentato omicidio, per aver messo a segno dieci rapine, per lesioni, furto, minacce gravi e anche spaccio di stupefacenti dal personale della squadra mobile della «neonata» questura di Monza, un gruppo di investigatori di lungo corso composta dagli uomini e dalle donne della squadra investigativa dell'ex commissariato brianzolo, con la collaborazione del reparto prevenzione crimine della Lombardia, con quella della Scientifica e con l'aiuto delle squadre cinofile.
Come confermano le intercettazioni, che hanno tutte più o meno lo stesso tenore, ma soprattutto i filmati delle telecamere, i giovani formavano un vero e proprio branco, deciso senza alcun tipo di scrupolo - e al solo scopo di dare corpo alle loro fantasie «di azione», diventandone artefici autentici- a prevaricare su vittime in situazioni di palese inferiorità: coetanei o ragazzi più grandi ma dalla costituzione più deboluccia (o semplicemente in quel momento soli e quindi privi dell'appoggio di altri amici che potessero dar loro manforte), minorenni impauriti dall'età e dalla baldanza fisica del branco e in un caso anche un senza tetto, picchiato di santa ragione per essersi opposto al furto della sua bicicletta, quindi minacciato apertamente di morte: «Se non fai quello che ti diciamo ti facciamo fuori».
In un caso, quello per cui questi sei giovani sono accusati anche di tentato omicidio, la vittima è un 32enne monzese che, massacrato di botte, è finito in ospedale privo di sensi e con il cranio fratturato: in quella circostanza, il branco, ha iniziato il litigio in un bar per poi trascinare il poveretto fino al sottopasso del centralissimo corso Milano, picchiandolo con calci e pugni anche in testa. Ii balordi si sono interrotti solo dopo aver sentito le sirene della polizia.
In molti casi le vittime sono state rapinate, come dimostrano i capi d'imputazione a carico del branco, anche
se lo scopo vero di questi sei ragazzi era imporre il proprio dominio, la loro azione di controllo su quella che definivano apertamente «la nostra zona». E per dieci mesi, dal marzo 2018 al gennaio 2019, ci sono riusciti.
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