U na scena degna di un action movie americano senza gravi conseguenze per nessuno, quella che si è scatenata ieri mattina a Bologna. Da una parte Matteo Salvini e la sua Lega Nord intenzionata a cavalcare la battaglia contro i campi nomadi sostenuti coi soldi pubblici, dall'altra i centri sociali a difendere rom e sinti, nel mezzo un plotone di agenti in tenuta antisommossa per evitare il peggio. Ma invano, al punto da fornire al Carroccio l'occasione ghiotta per chiedere le dimissioni del ministro dell'Interno Angelino Alfano.
I fatti. La visita della Lega al campo rom emiliano era stata organizzata per dare una risposta all'aggressione subita lunedì scorso dalla consigliera comunale Lucia Borgonzoni proprio durante un sopralluogo in quella stessa area. Alcuni esponenti dei centri sociali bolognesi da giorni erano sul piede di guerra pronti a dare battaglia, il Pd locale condannava l'intenzione del Carroccio etichettandola come «una inutile provocazione» mentre la responsabile della comunicazione di Forza Italia Deborah Bergamini parlava di «spot elettorale». Ma il video con le immagini della giovane commissaria della Lega bolognese presa a schiaffi e calci dal sinti aveva fatto il giro del web. Non poteva finire così. Ieri mattina il «comitato d'accoglienza» predisposto agli ingressi del campo nomadi non promette niente di buono. Annusata l'aria, Salvini, accompagnato dal candidato del centrodestra alle regionali dell'Emilia Romagna Alan Fabbri e dalla consigliera comunale aggredita decide di cambiare programma, di incontrare la stampa nel parcheggio di una sala Bingo poco distante e aspettare l'arrivo di una protezione adeguata da parte degli agenti per accedere al «campo della discordia». «Non voglio casini», aveva appena finito di dire Salvini di fronte ai giornalisti mentre si domandava, guardandosi intorno, se in quel parcheggio ci fosse eventualmente una via di fuga. Un pensiero quanto mai profetico, perché nell'arco di pochi secondi un gruppo di antagonisti, anticipando l'arrivo della polizia, valica l'ingresso di corsa e al grido di «assassino, assassino» punta dritto verso la piccola folla di telecamere e taccuini raccolti intorno ai leghisti. Il «piano B» fallisce, scatta il parapiglia. I leghisti scappano verso l'auto mentre un gruppo di giovani (alcuni già noti alle forze dell'ordine) li rincorre e prende a colpire il mezzo. I ragazzi, che si definiscono «studenti antirazzisti» prendono l'auto a cinghiate, calci e pugni, ci saltano sopra nonostante questa cominci la sua marcia, colpiscono, spaccano il vetro con un sasso, urlano. L'auto accelera ma loro non desistono e ci saltano sopra, sul cofano, sul tetto. Qualcuno vola via, qualcun altro rincorre, un cameraman della Rai cade. È lo stesso Salvini a dare l'ordine di partire. «Se ci fossimo fermati - spiega a mente fredda - ci avrebbero mandati all'ospedale. Hanno cercato di linciarci». Chi ci finisce, con un gomito rotto, è un giornalista del Resto del Carlino , spintonato e preso a calci all'ingresso del campo nomadi.
E così la partita torna politica con il Carroccio che punta il dito contro il nemico numero uno, Angelino Alfano, che non ha saputo imporsi in Europa né tanto meno difendere le frontiere dall'immigrazione selvaggia, così come per prefetto e questore di Bologna che non hanno saputo difendere i leghisti. Alfano, in tour elettorale in Emilia Romagna, condanna gli episodi di violenza ma non basta. Perché Salvini, cellulare costantemente alla mano, sonda l'effetto mediatico e sui social della giornata confidando che gli possa portare nuovi consensi per rafforzare la sua corsa, non prima di promettere: «Tornerò a Bologna.
Grazie di cuore agli emiliani per il sostegno. Questa è una città stupenda, quei cento violenti non la rappresentano. C'è il Daspo ai tifosi, mi chiedo perchè certa gente sia in giro. Deve essere rinchiusa e va buttata la chiave».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.