Il presidente francese, candidato al bis, dice d'esser pronto ad andare a Kiev se «utile», spiegando di voler proteggere i francesi da un prolungamento della guerra. «Sarebbe più chiaro alla classe politica e a buona parte della popolazione, se dicesse che non possiamo mettere tra parentesi l'azione diplomatica», sostiene Emmanuel Dupuy, presidente dell'Istituto Prospettiva e Sicurezza in Europa di Parigi (Ipse), politologo e analista geopolitico docente all'Università cattolica di Lille.
Quanto la guerra in Ucraina ha influenzato queste presidenziali?
«Ha avuto un doppio impatto. Ha rallentato il ritmo di tutti i candidati. Prima c'è stata una sorta di coesione, un rispetto dell'azione diplomatica della Francia. Poi ha avuto effetti sulla percezione dei cittadini rispetto alle risposte che i candidati volevano dare alla crisi. Jean-Luc Mélenchon è stato senza dubbio quello che ha condannato meno il conflitto».
Perché allora si parla molto del sostegno di Le Pen a Putin e poco della scelta di Mélenchon d'aver sostenuto l'annessione della Crimea nel 2014, essersi opposto alle sanzioni e aver votato contro ogni cooperazione con Kiev all'Europarlamento?
«In realtà quasi tutti i candidati avevano rapporti con Putin, a eccezione forse dell'ecologista Jadot e in parte della neogollista Pécresse. Ci si è focalizzati su Le Pen perché era in crescita nei sondaggi e non ci si aspettava un'ascesa tanto significativa di Mélenchon, e certo le foto di Le Pen con Putin non sono passate inosservate. Non è un mistero il sostegno finanziario ottenuto in passato. Ma chi è più vicino a Putin è Eric Zemmour».
Macron ieri ha scelto il Nord della Francia e il ritorno nei territori. Si è dimenticato di Kiev?
«Come Boris Johnson, Roberta Metsola, Ursula Von der Leyen, Josep Borrell si sono recati a Kiev, oltre al cancelliere austriaco, non c'è ragione per cui Macron ora non dovrebbe andarci, vista anche la presidenza del Consiglio dell'Ue. Zelensky e Kuleba lo hanno chiesto. Non poteva farlo prima perché c'era il primo turno, ma ora ci sono due settimane dal voto e possono servire allo scopo».
Ci andrà prima del voto?
«Potrebbe... Una nuova offensiva si prepara già nel Donbass... Macron potrebbe beneficiare di questa capacità di intervento nella negoziazione continuando a discutere con Zelensky e Putin, e perché no, andando simbolicamente a Kiev».
Il gas e l'energia stanno diventando un incubo per Italia e Germania, la Francia può stare più tranquilla grazie al nucleare. Macron e Le Pen sono pro. Perché i verdi, contrari, sostengono il presidente?
«C'è un principio di realtà da cui non si scappa. Essere più indipendenti dal punto di vista energetico. Questo è il carattere con cui il candidato Macron ha proposto i 6 nuovi reattori Epr. Solo il 21% del gas importato è russo».
Anche Le Pen strizza l'occhio agli ecologisti. Ha speranze di attirare qualche voto verde?
«Poche. Le Pen è focalizzata molto sulla reindustrializzazione del territorio e quindi anche pro nucleare. Il Front national non è mai stato ostile al nucleare, è un tema centrale di queste presidenziali».
Stavolta la sfida Macron-Le Pen è più aperta o il finale è già scritto?
«La destra repubblicana sgretolata è una novità che può influire. Le Pen può beneficiare di un potenziale di voti superiore al 2017. Macron ha fatto il pieno di sostegni dagli sconfitti Pécresse, Jadot e Hidalgo. E conta di avere un 45-46% già in tasca anche grazie alle parole di Mélenchon che ha chiesto ai suoi di non dare neppure un voto a Le Pen».
Però quasi il 27% del potenziale elettorato di Mélenchon sarebbe pronto a scegliere BleuMarine contro Macron...
«La messa in discussione di una certa globalizzazione, la riforma delle pensioni, sono temi che possono vedere elettori
passare facilmente da Mélenchon a Le Pen. Sarà importante vedere come se la cavano i finalisti nel faccia a faccia tv. Lo scarto è serrato. Molto dipenderà dai dibattiti. Certo a Macron serve un'accelerata per la rielezione».
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