Per una volta ha ragione la Bindi: la mafia è nel dna

I primi ospiti del Vaticano sono scappati dalle persecuzioni jihadiste

Non possiamo rivelarvi chi siano il padre di famiglia, sua moglie e i due figli di 17 e 13 anni che per primi hanno beneficiato dell'invito papale. Hanno iniziato a preoccuparsi per la propria sorte a metà maggio quando le bombe dei ribelli cominciano a cadere con sempre maggiore intensità sul quartiere cristiano di Kassa, in Siria.

Non si sfugge al destino o, come direbbe Rosy Bindi, al proprio dna. Non te li aspetti manifesti così, come una rivelazione di orgoglio mafioso, sparsi per (...)

(...) Catania, Paternò, Giarre, grandi, sei per tre, sfacciati, sconcertanti. È l'annuncio di un battesimo. C'è la foto di un bambino, innocente, con una coppola in testa e una frase: «Questa creatura meravigliosa è (puntini di sospensione) cosa nostra!». Se vi sembra una puntata dei Sopranos rassegnatevi, non è così. È la maschera dell'Italia, la sua autobiografia, uno spettacolo d'arte varia. No, il funerale romano dei Casamonica non era l'ultimo atto. Si ricomincia, dalla tomba alla culla. La tua terra ti scorre nelle vene, devi farci i conti. Ovunque. Anche se stai contro o se fingi di non vendere. Questo forse voleva dire Rosy Bindi. Non è semplice scantonare. Qui c'è un bambino che è «cosa nostra» prima ancora di essere battezzato. Il padre minimizza, una battuta, un gioco. Cosa è la mafia? Solo che anche la storia di Francesco Rapisarda, il padre appunto, è già segnata. È pregiudicata. È traffico di droga. È chiacchierata. È uno, raccontano gli investigatori, vicino al clan Laudani, indagato per associazione mafiosa. Il risultato è una presunta battuta che ha battezzato il figlio. Ma poi c'è il resto. Quel manifesto è il racconto di una «cultura». La festa (battesimo, matrimonio o funerale) come rivendicazione, come identità, come «voi non sapete chi sono io». Ma gli altri invece lo sanno benissimo. Non serve dirlo. Basta sussurrarlo. Solo che questa volta tutto è gridato. Qualcosa sta cambiando e non si sa se sia una dimostrazione di forza o un urlo da quaquaraquà. Quello che è certo che gli ingredienti ci sono tutti. Le facce di quelli che bene o male vanno in tv, i cantanti neomelodici, le radio locali che dovrebbero testimoniare in diretta il lieto annuncio, il clan degli ospiti vip e doc. Non accade solo in Sicilia. È così anche dove la mafia arriva in doppio petto grigio o dove la politica è clientela e voto di scambio. È così anche nelle terre dove il potere si finge buono, giusto e solidale, dove si fanno i soldi sulla pelle dei disperati. Il potere cambia i vestiti, ma le feste sono più o meno tutte uguali. Quando i tuoi genitori urlano l'orgoglio di famiglia non è facile deragliare. Ci vuole coraggio e fortuna. È doloroso strapparsi il destino dalla pelle. È rinnegare. È tradire. È ribellarsi a un dna culturale e sociale. Chi non lo fa non è innocente. È debole.

E non è neppure facile strapparsi di dosso la terra in cui si nasce. Mafiosa o no. Il libero arbitrio è la sfida dell'io contro tutto il resto. Solo che la libertà è tutt'altro che gratis. Buona fortuna, piccolo. E che le colpe dei padri non ricadano sui figli.

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