Wimbledon mette al bando russi e bielorussi. La stessa gogna per tedeschi e italiani nel '46

Prima la pandemia, ora la guerra. Tocca sempre a Wimbledon raccontare che il mondo è cambiato e 76 anni dopo un conflitto finisce per condizionare di nuovo il torneo

Wimbledon mette al bando russi e bielorussi. La stessa gogna per tedeschi e italiani nel '46

Prima la pandemia, ora la guerra. Tocca sempre a Wimbledon raccontare che il mondo è cambiato e 76 anni dopo un conflitto finisce per condizionare di nuovo il torneo. Era il 1946 quando fu deciso di lasciar fuori i tennisti di Germania, Giappone e Italia dalle Doherty Gates. Oggi come ieri, nell'edizione che segna il ritorno dopo la sosta per Covid, saranno invece russi e bielorussi a pagare le spese di una guerra insensata. La decisione è stata ufficializzata ieri dopo quale ora di rumors incessanti, e così campioni come Daniil Medvedev e Andrey Rublev, numero 2 e 8 del mondo, resteranno fuori dal circolo più famoso del mondo. Così come succederà ai bielorussi. In pratica: la lista comprende anche Khachanov, Karatsev e Ivashka in campo maschile, mentre il tabellone femminile sarà sbarrato per Sabalenka, Pavlyuchenkova, Victoria Azarenka e Daria Kasaktina. «Decisione giusta» ha sentenziato l'ex racchetta ucraina Dolgolopov, e a lui si sono accodati alcuni protagonisti del tennis mondiale. Ma lo è davvero?

Mosca, per bocca del portavoce del Cremlino Dmitri Petrov, ha risposto con rabbia che «è inammissibile tenere in ostaggio gli atleti di convinzioni politiche, intrighi e comportamenti ostili». E lo stesso concetto è stato espresso nientemeno che dall'Atp, l'associazione dei giocatori che detiene le chiavi dei tornei, Slam esclusi: «Decisione inaccettabile, crea un pericoloso precedente». Qualcuno parla di possibili boicottaggi per protesta tra i tennisti, ma a Church Road si tira dritto, secondo le richieste di Boris Johnson. «Condividiamo la condanna universale delle azioni illegali della Russia - si legge nel comunicato - È quindi nostra intenzione, con profondo rammarico, rifiutare le iscrizioni di giocatori russi e bielorussi al torneo 2022. Siamo pronti a rivedere la decisione nel caso le condizioni cambino». Gioco, partita, incontro. Ma di sicuro non vince nessuno.

E dunque: davvero il singolo (atleta) deve pagare per le follie del proprio leader? Il dibattito è acceso già dalle Paralimpiadi, nelle quali gli atleti russi sono stati banditi all'ultimo uccidendo i sacrifici di una vita. E pure l'idea di chiedere una dissociazione pubblica è pura ipocrisia. Finora Medvedev e Rublev si sono limitati timide dichiarazione per la pace, ma per la collega ucraina Elena Svitolina questo è troppo poco: «Le organizzazioni dovrebbero sottoporre gli atleti russi e bielorussi a tre semplici domande ha affermato - in cui dichiarano di essere contrari alla guerra e ai regimi dei loro Paesi. In caso di non risposta, giusta l'esclusione. Il silenzio è complicità agli oppressori». Concetto corretto nella forma, se non fosse che chi ha familiari a casa può anche temere conseguenze fatali.

Insomma, questo è un match in cui tifare resta difficile.

A Roma, per esempio, per gli Internazionali non ci sarà nessun blocco, ma il presidente della Federtennis Binaghi ha fatto sapere di voler far suonare l'inno ucraino per la finale: «Sarebbe divertente vedere lì un tennista russo...». Ecco, volendo, di divertente in tutta questa vicenda purtroppo non c'è nulla.

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