Giuseppe Zamberlletti è un signore d'altri tempi. Ma, soprattutto, un politico d'altri tempi. «Doroteo di ascendenza gaullista e vocazione cossighiana», si legge nei Cinquantamila giorni di Giorgio Dell'Arti. Pacato, cortese, competente. Un «monumento» della Prima Repubblica (una volta tanto, però, nell'accezione positiva del termine). Ottantatrè anni portati serenamente ma sempre con la passionalità dell'uomo abituato a fare. E a dire, se serve, anche cose scomode. Nella melassa del bla-bla che da mesi sta accompagnando le varie emergenze sismiche nel nostro Paese, le parole dello storico «Commissario straordinario al terremoto» ai tempi del sisma in Friuli (1976) e in Irpinia (1980) sono un monito da cui non si può - e non si deve - prescindere: «Osservando i palazzi che sono venuti giù durante i recenti eventi sismici vedo troppe verande e pochi rinforzi ai solai». Tradotto: anche gli italiani (intesi sia come cittadini sia come governanti) hanno le loro responsabilità. Dalla colpa di costruire lì dove non si dovrebbe, a quella di non mettere in sicurezza gli edifici. Insomma, per i «padre» della Protezione civile il bilancio terribile di morti, feriti, sfollati e danni miliardari non è solo il frutto di un destino inevitabile ma anche la conseguenza di negligenze umane. Concetti coraggiosamente ribaditi in due recenti interviste rilasciate al Il Mattino di Napoli e all'Espresso e di cui il Giornale ha chiesto conferma a Zamberletti a margine di un suo recente intervento pubblico a Varese, ospite del locale Gruppo Alpini. La memoria va indietro nel tempo, fermandosi a una norma adottata nel 1984: «Era ancora aperta la ferita del disastro in Irpinia e tentammo di fare tesoro dell'esperienza maturata in Friuli. Ero ministro per il coordinamento della Protezione civile e stanziammo dei fondi per intervenire non soltanto sugli edifici lesionati ma soprattutto su quelli che avevano retto alle scosse senza comunque non rispondevano ai requisiti di anti-sismicità. I proprietari avrebbero potuto beneficiare dei contribuiti per mettere in sicurezza le case in cui abitavano e alla fine ci ritrovammo più verandine che tiranti. Avevamo sprecato un'occasione e molte risorse, peggiorando di fatto la situazione». Una denuncia da cui non si può prescindere, perché lanciata proprio da uno dei più autorevoli uomini-simbolo che hanno sfidato il terremoto sul terreno dell'innovazione e della modernità. Grazie a Zamberletti, a fianco dei «meravigliosi ragazzi» dell'Esercito, cominciarono a scendere anche i «nuovi professionisti delle calamità» che oggi indossano la divisa della Protezione civile. «Una macchina del soccorso rodata per la quale faccio i complimenti a Fabrizio Curcio - sottolinea Zamberletti -. Molto ancora resta invece da fare sul fronte della prevenzione, degli investimenti nel consolidamento delle nostre città, ma soprattutto verso la mentalità degli italiani». In che senso «mentalità»? «È una questione di cultura. Nonostante le devastazioni, le lacrime, i lutti e gli appelli pare che si torni sempre all'anno zero. Gli italiani non ce la fanno proprio, scatta puntualmente il riflesso condizionato come al tavolo della roulette russa: non è capitato a me, allora posso dirmi salvo. Ma non si capisce che il prossimo colpo potrebbe essere fatale e allora siamo qui a contare i danni e le vittime». Ma qual è l'elemento fondamentale da recuperare per chi si ritrova con la casa distrutta? «È l'elemento della comunità - spiega l'onorevole Zamberletti al Giornale -. Ricreare un senso di appartenenza tra la gente che si conosce e non vuole separarsi. Noi, ai tempi del terremoto in Friuli, requisimmo 20 mila roulotte ricreando una sorta di polis animata da solidarietà, voglia di rimboccarsi le maniche e desiderio di tornare al più presto a una vita normale facendo leva soprattutto sulle proprie forze e senza assistenzialismo. I friulani furono eccezionali, dopo l'emergenza restituirono le roulotte perfettamente linde e pulite ai legittimi proprietari.
La ricostruzione avvenne in tempi rapidi e con ottimi risultati».In Irpinia andò diversamente tra lentezze, sprechi e scandali infiniti. «Di malaffare ce ne fu molto. E la politica locale dovrebbe recitare il mea culpa».
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